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della poesia di virgilio | 519 |
draco quem formasti ad illudendum ei, a che risponde il virgiliano Et quae marmoreo fert monstra sub aequore pontus1. Ma quanto più consolanti i concetti, che del Mantovano, del poeta di Giuda: «Manderete lo spirito vostro, e saranno creati; e rinnoverete la faccia della terra».
XI.
Coloro che non intendono (e pare che, per la condizione della presente loro civiltà immatura, non possano intendere) come una specie d’originalità inevitabile faccia differente la poesia di Virgilio da quella d’Omero, e come questa necessità derivata dall’assunto dell’Eneide dovesse esserne insieme la difficoltà e la bellezza; costoro non pensano che nel poema greco, come in tutte più o meno le epopee, vengono alle prese due genti che fanno sforzi per distruggersi e umiliarsi; ma nel poema da dirsi italico meglio che romano o latino, un avanzo di gente vinta, portando seco i germi della civiltà e le memorie della religione, arriva in terra incognita a lei ma famosa e potente, per aumentarne la potenza e la fama, per comunicare il diritto proprio senza violare l’altrui, e in certe cose sottomettersi per più ragguagliarsi, e così vincere esemplarmente una vittoria singolare.
Che Virgilio abbia altamente sentito ciò, lo dimostra l’evidenza con ch’egli lo fa sentire; lo dicono i patti in cui s’accordano alla fine gli Dei, ne’ quali le storiche potenze de’ popoli qui vengono simboleggiate: «I nativi del Lazio non muteranno l’antico nome, non si chiameranno Teucri nè diverranno Trojani: un Lazio ci sia, ci siano i re Albani per secoli, e possente d’italico valore la progenie di Roma .... Gli Ausonii riterranno la lingua patria e le leggi: commisti a così grande corpo, i Teucri sottostaranno: il linguaggio e i riti de’ sacrifizii vi aggiungerò (dice il Dio), e farò tutti d’unanime labbro Latini2. Non so tradurre l’uno ore se non col labii unius3 della Bibbia; e qui lab-