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514 | concetto storico, civile e morale |
seconda delle Georgiche nè la dolce Partenopei1 nè i luoghi ameni rammentati tra le lodi d’Italia2, ma desidera le fresche valli dell’Emo e il Taigeto echeggiante alle vergini di Laconia esultanti nel tripudio de’ canti.
L’altro luogo del quale chiedevo a me la ragione, è laddove, a celebrare le esequie di Pallante sì che ne riceva consolazione leggiera ma debita il misero padre, Enea mette lucri due vesti di porpora fregiate d’oro, e d’una di queste copre mestamente a onoranza ultima il giovanetto, e cinge d’un velo la chioma che tra poco arderà; e molte aggiunge in lungo ordine spoglie della vinta battaglia, e arme e cavalli. Quelle due vesti dice il poeta che «un tempo Didone infelice gli aveva fatte con le sue mani, lieta del lavoro, e distinte le tele con oro di fino ricamo3». Laeta laborum, gentile e mesta parola, che fa contrapposto e consonanza con quelle in cui la madre d’Eurialo, vedendo infitto a una lancia il capo caro, dall’alto delle muragli parla: «Così a me ritorni? E tu eri il tardo conforto degli anni ultimi miei! e potesti lasciarmi sola, o crudele; nè, mandato a tanto pericolo, potè dirti le ultime parole la misera madre... Nè io, madre, accompagnai le tue esequie, nè ti chiusi gli occhi, nè ti lavai le ferite, coprendoti con la veste che notte e dì m’affrettavo a tesserti, et tela curas solabar aniles4». Ricordiamoci che Enea, nell’ubbidire al cenno e di Giove e del padre, e al proprio destino che lo moveva alla volta d’Italia, nel distaccarsi da Carme, sede non accomodata a suo figlio, duramente combatte con la pietà e con l’amore. Fas obstat, placidasque viri deus obstruit aures5. Non è freddezza nè sconoscenza la calma apparentemente serena che lo circonda a guisa di quella nube che agli occhi altrui lo ascondeva entrante nella ignota città coli’ amico6. Magno persentit pectore curas; Mens immota manet, lacrymae volvuntur inanes. L’effi-