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della poesia di virgilio | 505 |
sorella la colpa propria: «tu vinta dalle mie lagrime, tu prima, o sorella, facesti pesare su me questi mali; tu mi esponesti vittima al mio nemico». Senonchè, moribonda, sentirà l’agonia conturbata e consolata dalle querele della infelice sorella; sentirà la sua voce di mezzo alla folla piangente, la vedrà salire i gradini del rogo, e abbracciarla, e tergere con la sua veste il sangue sgorgante dalla ferita; e nel sollevare gli occhi gravi, erranti, cercando la luce del cielo, darà con un gemito alla sorella e alla luce l’estremo saluto.
Il cervo ferito da Ascanio è cagione al tumulto che contro gli stranieri profughi insorge ne’campi; il cervo diletto a Silvia sorella1. La saetta che ferisce un de’ nove fratelli, bellissimi tutti, che aveva all’arcade Gidippo generati la fida unica moglie, rompe il pattuito cimento di Turno con Enea, e ricomincia la mischia2. Alle porte della città assediata da Turno stanno a diritta e a sinistra due guerrieri fratelli, quasi due torri, come due querele sulle rive del Po e lungo l’Adige ameno: ucciso un de’ quali, l’altro, turbato dal dolore e dall’ira, serra di forza le porte, e altri de’ suoi chiude fuori, e Turno rimane, ospite tremendo, seminatore di morte3. Tra le brevi prove che dà della sua adolescente prodezza Pallante, è la morte di due gemelli simillima proles, Indiscreta suis gratusque parentibus error4: e qui soggiungesi concetto più ingegnoso che non s’addica a epopea, non della greca bellezza schiettamente severa: sed nunc dura dedit vobis discrimina Pallas, che all’un de’ gemelli il capo è reciso, dell’altro la destra monca; e qui abbiamo una bellezza non greca, ma pura tuttavia e di quello spirito virgiliano che infonde fin nelle parti corporee coscienza d’affetto: Te decisa suum, Laride, dextera quaerit, Semianimesque micant digiti ferrumque retractant.
Non a caso qui dice che dalla spada d’Evandro è tronco il capo a un de’ gemelli; perchè dalla legge del metro, e dagli istinti del senso armonico sono, più che costretti, ispi-