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della poesia di virgilio | 495 |
più schiettamente modesta. Un esempio tra mille ne sia il come da lui la fognatura è dipinta: Inter enim labenlur aquae, tenuisque subibit Halitus, atque animos toltent sala1; intorno alla quale figura un poeta tedesco ordisce una laboriosa personificazione del germe assomigliato a bambino fasciato, in un minuzioso lunghissimo componimento.
III.
Per quel ch’è degli Dei, tutta la mitologia greca e italica, com’Ella avvertiva, è un simbolo di fede contrario al Panteismo. Gli Dei d’Omero più passionati negli appetiti e negl’impeti, ma nella ferocia sovente bestiale più galantuomini; parecchi tra gli Dei di Virgilio, più astuti con frode, se così posso dire, più diplomatici, acciocché siano degni colleghi d’Augusto: non tutti però. Giove anco nell’Eneide è re da Statuto, ma con più dignità ad ora ad ora: senonchè questa è del poema la parte più debole; appunto perchè il coetaneo d’Ottaviano doveva pagare il fio del suo tempo tristo e delle soverchie sue lodi. Ma altrove già dissi ch’io non apporrei a Virgilio la colpa dal Rosmini appostagli in un’opera sua giovanile2, del negare la giustizia superna e quel che a lei deve la libertà umana, ne’ versi Atque metus omnes et inexorabile fatum Subjecit pedibus strepitumque Acherontis avari3; a’ quali versi vien subito dopo: Fortunatus et ille Deos qui novit agrestes. Con che mi pare abbia a intendersi che la coscienza umana non deve essere al bene sospinta e rattenuta dal male per timor della pena; che religione senza un senso d’affetto e di gratitudine intelligente davvero religione non è. L’inesorabile fato mi pare abbia un senso notabile, illustrante il consiglio che Eleno sacerdote dà con tutta istanza all’amico: si qua est Heleno prudentia, vati Si qua fides, animum si veris implet Apollo, Unum illud tibi, nate Dea, pr aeque omnibus unum, Praecipiam et repetens iterumque iterumque monebo, Iunonis magnae pri-