Pagina:Archivio storico italiano, serie 3, volume 13 (1871).djvu/461


rassegna bibliografica 455

perdoni, ma a noi pare che siasi lasciato trascinare troppo oltre dal calore della disputa. Egli giudica falso quel documenta, non perdio vi sieno dentro delle cose impossibili od improbabili, ma per i difetti esterni delle copie che sono arrivate a noi, sendo perduto L’originale. Ma se dalle varietà delle lezioni, dagli sbagli di parole e dalla incertezza delle date, dovesse arguirsi la falsità degli scritti, chi più sarebbe falso del suo Spinello, che pure ha così virilmente difeso per vero? Di più aggiunge non esser credibile che l’imperatore facesse testamento, poichè il dì 13 Dicembre moriva improvviso, mentre era convalescente e sperava di scendere il letto il dì dopo. Ma un uomo come Federigo, il quale aveva più figliuoli che avrebbero potuto contrastarsi la vastissima quanto intricata eredità paterna, che doveva avere tanti negozi da disporre, è possibile, che caduto in una grave malattia, che però gli dette agio di accomodare le cose sue, avesse trascurata una azione, che anche i privati, purchè prudenti, non lasciano di fare? Sappiamo bene che fra le molte cose che sono state scritte sulla fine di Federigo II, non è mancato il sospetto che il testamento fosse composto in frode dai figliuoli di lui. Sospetto assolutamente senza fondamento, per mille riguardi, anche perchè del testamento si parla nelle stesse lettere di condoglianza sulla morte paterna, che Manfredi scriveva a Corrado; le quali allora bisognerebbe dire che fossero scritte dopochè i due fratelli, uno nella bassa Italia l’altro in Alemagna, si fossero accordati insieme a giuocare questa commedia, per ingannare altrui, non si sa bene a che fine. Se Manfredi, presente alla morte del padre, avesse cavato fuori un testamento in cui fosse stato diseredato Corrado, cui il regno spettava per legittimità, o vi fosse stato egli trattato con straordinarissima parzialità, allora forse sarebbe stato luogo a dubitare di frode. Ma il testamento riconosce erede del regno Corrado, e fa a Manfredi una condizione troppo inferiore a quella del fratello, dichiarandolo solamente principe di Taranto e signore di altri pochi feudi; in modo che nissun ragionevole indizio vi si trova che possa dirsi inventato. Anche qui avremmo pertanto desiderato che il napoletano si fosse attenuto a quella critica mezzana e pacifica, che non corre a negare i fatti ed i documenti, se non hanno