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424 delle antiche relazioni

dallo fazioni debilitala ed impoverita cedeva tutte le speranze del suo commercio alla prevalente vicina, chiudendo a pro di questa il suo porto alle navi del Levante della Sicilia e dei lidi meridionali d’Italia, facendo il suo territorio inospito ed impervio a’ mercatanti e solo aperto alle merci dei Veneziani. Ed alle cose promesse i Ravennati rimasero fedeli più che non solessero fare i Veneziani, che quando nel 1267 i Bolognesi lamentarono che i loro mercanti pagavano nel territorio ravennate soverchi pedaggi, i Ravennati risposero che avrebbero fatto quanto potevano per favorirli purchè non portassero merci con le navi, poichè volevano mantenere la fede ai patti recentemente stipulati col doge di Venezia, nè potevano cedere un diritto che più non aveano pieno per se medesimi.

I Veneziani fecero ancora il computo della quantità del sale e del ferro, de’ panni necessari ai Ravennati e non permisero che n’avessero in maggior copia; appena lasciarono al podestà il diritto di bandire la esportazione del grano quando era da temere che la città ne rimanesse sprovvista del tutto. Del resto mille e cinquecento libbre di sale, sessantamila libbre di ferro di Lombardia e sessanta balle di fustagno e d’altri panni parve dovessero bastare ogni anno ai bisogni della città e del contado. Ma chi avrebbe imposto a que’ giorni a Venezia ed a Genova la misura delle derrate necessarie a’ loro industri cittadini ognor più numerosi?

Le cittadinesche riotte erano state cagione in Ravenna di rapine di ogni maniera e talmente aveano distratto gli animi dal lavoro, che la città era rimasta povera d’avere e di speranze, nè forse allora fu insano consiglio il vendere ai Veneziani un commercio che i cittadini più non potevano nè sapevano esercitare.

E siccome delle ricchezze avviene talora ciò che si manifesta nella materia, la quale spiega la forza di attrazione tanto più gagliarda quanto maggiore è la sua massa,