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fra venezia e ravenna 423

[Questo trattato fa palese una guerra fra Veneziani e Ravennati] VI. Questo trattato ne annunzia ciò che da nessuno storico è riferito, come dal 1251 al 1261 non vi fosse mai ferma pace tra Veneziani e Ravennati, come dopo lunga tenzone venissero al sangue, e come i primi fossero provocatori ed assalitori, leggendosi in uno dei capitoli del trattato esposto disopra: «E queste cose si intendano stabilite sulle rappresaglie e sopra i danni dati dall’una parte e dall’altra dal tempo della concordia fatta fra il Comune di Venezia e messer Ruggero suo fratello, e gli uomini di sua parte che allora tenevano Ravenna sino alla guerra presente incominciata dal Comune di Venezia contro il Comune e gli uomini di Ravenna».

I Ravennati niente altro facevano che difendere i loro antichi diritti; i Veneziani per acquistare maggior dominio sul Po si erano fatti assalitori. E frutto della loro vittoria si fu questo trattato del 1261, pel quale Ravenna

    Il primo interrogato fu un Pace di Boninsegni da S. Alberto, il quale davanti a Marino Giorgi podestà di Chioggia depose «di avere udito dai suoi padri e visto egli stesso che prima che fosse eretta la fortezza di Marcabò, i Veneziani tenevano presso S. Alberto una galera armata (munita), la quale di li iacea la guardia per tutte quelle valli e bocche (buchas) che stanno fra la fenarolam e San Biagio acciocchè di lì non passassero merci contro il bando del Doge di Venezia, e dice che anche allora si iacea lo stesso a difesa del castello edificato a Marcabo».

    Secondo ad essere interrogato lo stesso giorno e dinanzi agli stessi fu un Calbuccio, ravennate stabilito a Chioggia.

    Costui depose «che prima della edificazione del castello di Marcabò per più anni vide co’suoi occhi una galera armata tenuta dai Veneziani a S. Alberto, la quale Iacea la guardia da Primaro usque ad caput dorzum et usque fenarolam onde per quelle valli e quelle bocche non transitassero merci contro il bando, guardia che in oggi è fatta dai custodi che abitano nel castello nuovamente edificato». E queste testimonianze furono trascritte dal notajo Giovanni Zito. Non si può rinvenire la causa per cui si volle far constatare che Venezia da tempo antichissimo sorvegliava quei luoghi: forse da queste prove trasse poi argomento il Doge Pietro Gradenico a volere in perpetuo libera la navigazione del Po asserendo che il diritto dei Veneziani esisteva a tanto tempore cujus non est memoria. (Patto 7 gennaio 1299, Pacta IV, eh. 113). Ad ogni modo queste deposizionici fanno conoscere questi particolari che altrimenti sarebbero ignorati.