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ossia labirinto d'amore 387

rupe enorme con base poco salda, sicchè tremava al soffio del vento. Lì era l’adito alla grotta. Antonio aveva promesso al podestà di non inoltrarsi nelle viscere del monte; pure volle vederne qualcosa, quando senti dei suoni che pareangli come d’uccelli, ma misero tale spavento nei suoi compagni, che a nessun costo vollero procedere. Le pareti interiori del vestibolo della grotta erano umide e coperte di musco. Volendo scrivervi il suo nome, Antonio ne nettò una parte, e scoprì una iscrizione del seguente tenore: Her Hans von Bamberg intravit. Le guide naturalmente non poterono dargliene contezza, ma tornato a Norcia seppe da uno del paese, maestro Fumato, la storia d’un cavaliere di Franconia il quale entrato nell’interno del monte, e preso dall’incanto della vita alla corte della regina Sibilla, lungo tempo eravi rimasto, poi dai rimorsi condotto ad escitene non avea potuto resistere alle dolci rimembranze, e per sempre era scomparso. Era insomma la storia del Tanhäuser trapiantata nell’Appennino. Il divieto d’entrar nella caverna, e la distruzione della diga conducente all’isoletta, erano state conseguenze dell’avventura. Tale fu la storia di Antonio de la Sale da lui posteriormente raccontata anche al buon re Renato e a Giovanni duca di Calabria di lui figlio. Quant il vous plaira de y aller disse il cavaliere al Duca, les dames vous y festoieront très voullentiers. Ma il pretendente al trono di Napoli aveva da pensare ad altro che alla Sibilla di Norcia. Anche il delfino di Francia, che divenne poi re Luigi XI, ascoltò a Genappe il racconto del Provenzale. Nel medesimo c’è ancora da notare, la Sibilla aver consegnato al cavaliere nel momento della partenza una verga d’oro dal re Renato interpretata qual segno dell’illusione invece della speranza, dal Delfino creduta il simbolo della corruzione dominatrice del mondo; ma forse l’istessa verghetta, la fatalis virga segno di comando nel mondo sotterraneo, simile a quella di Mercurio presso Stazio,