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386 del monte di venere

poli coll’Angiovino, ne aveva percorsi i contorni, investigando sul Posilipo e a Pozzuoli, a Cuma e sul Capo Miseno, presso il Lucrino e l’Averno e nelle isole le tracce di Virgilio a lui familiarissimo. La curiosità naturale in un giovine nutrito delle tradizioni del paese d’Arli l’aveva spinto a far ricerca di tutto ciò che spetta alle Sibille e agli incantesimi, coi quali il medio-evo, trasformando il poeta in mago, aveva popolate le campagne napoletane. Ma ciò non eragli bastato. Trovandosi nello stato della Chiesa, in seguito ai successi della guerra, Antonio non si diede pace prima di aver visitato il paese di Norcia, e nel dì 18 maggio del 1420 scese nell’antro della Sibilla. Due anni e mezzo in là, egli ne fece racconto a un ambasciatore di Filippo il Buono duca di Borgogna, Gualtieri de Ruppes, giunto a Roma col vescovo di Senlis onde conferire col papa intorno alla successione al trono francese in litigio tra il partito inglese e quello di Carlo VII. Uno zio di mio padre, così disse Gualtieri ad Antonio de la Sale, molti anni fa venne in Italia. Passando da Ancona a Roma, esso volle visitare la grotta della Sibilla, e non si è più veduto. Ma dicono che voi stesso siete stato nella grotta.

Allora Antonio raccontò qualmente, col permesso del podestà di Norcia, in compagnia di un dottore chiamato Giovanni di Soria, erasi recato a visitare il monte e il lago della Sibilla. Sorgeva nel lago un’isoletta, già congiunta colla riva per mezzo d’una diga, teatro degli incantesimi dei magi e degli stregoni. Di là escivano le fiere tempeste, frequenti devastatrici dei monti e delle adiacenti pianure. Nel lago crede vasi essere sepolto Pilato, colà precipitato nell’abisso dalle bufale che sul carro ne traevano il corpo dopo il supplizio sofferto regnante Vespasiano. Il monte era di meravigliosa altezza, sicché dalla cima scuoprivasi il Mediterraneo assieme all’Adriatico. Tale cima era sterile e scoscesa, e un sentiero strettissimo sovrapendente all’abisso conduceva a una