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del monte di venere ec. 377

Tale si fu la sorte di un nobile ed onorato cavaliere, detto il Tanhäuser, la cui storia ci viene raccontata dalla poetica tradizione. Giunto al monte di Venere nei lunghi suoi viaggi, il prode guerriero entrovvi, non curante del pericolo, spinto dalla curiosità di conoscerne le meraviglie. Avvolto nelle reti d’amore, durante lungo tempo non trovò modo di sottrarsi all’incanto, parendogli un anno breve quanto un’ora. Contuttociò la corte voluttuosa non riesci a renderlo interamente dimentico dei doveri suoi, ed essendosi un giorno addormentato all’ombra d’un fico, dal sogno venne ammonito di fuggire il peccato. Svegliatosi, così continua il canto pel quale ci è stata trasmessa la tradizione, ne preghiera ne minaccia valse a ritenerlo, e raccomandandosi a Maria Vergine, uscito dal monte si mise in pellegrinaggio onde trovar perdono a Roma. Giuntovi coi piedi di sangue bagnati, egli inginocchiossi al cospetto del papa, confessando ed abominando il suo fallo. Il papa teneva in mano una verga secca secca, e dopo ascoltata la confessione gli rispose: più facile sarebbe a questa verga il rinverdire, che non a me l’assolverti dalle tue colpe. Allora il cavaliere, le braccia estese, prosternossi davanti all’altare della Santissima Croce, gridando: Io ti prego o Signor Gesù Cristo, abbi di me misericordia. Poi, la disperazione nel cuore, esci di chiesa, pensando: Iddio mi ha protetto sempre, ora sono abbandonato e perso. Fuori di porta incontrò la Santissima Vergine: Iddio, così disse a Lei, t’abbia nella sua grazia, o madre di castità: io non oso più alzare verso di te gli sguardi miei. Non era peranco passato il terzo giorno, allorché ad un tratto principiò a fiorire la verga, onde il papa spedì nunzi in ogni luogo a cercar del cavaliere. Ma il cavaliere non si rintracciò, il cavaliere era smarrito; egli era tornato al monte, sempre però pregando Gesù di non perdere la povera anima sua. Epperciò nè papa nè cardinale dovrebbe rigettar il peccatore, giac-