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326 rassegna bibliografica

si agitano sovra Bramante, nè per esso sapremmo ancora l’epoca e il luogo della sua morte, se il Gaye (II, 135) non ci avesse provato fino dal 1840 ch’ella sia avvenuta in Roma nel 1514, alli undici di marzo.

Nemmeno veniamo a sapere il nome preciso dell’insigne artista cui il Pagave (senza riportare il documento) asserisce fosse Bramante di Severo Lazzari, mentre il Pungileone appoggiandosi al Cesariano contemporaneo e discepolo di Bramante, sostiene si denominasse Donato o Donnino e fosse cognominato Bramante.

Ma la quistione più grave per noi, e di maggiore entità per la Storia delle arti nostre, si è quella dell’epoca in cui l’urbinate Bramante sia venuto in Lombardia; perchè dalla precisa cognizione di questa epoca o sarà resa più probabile la conghiettura di molti (fra i quali lo stesso de Pagave), che Bramante abbia pel primo recato fra noi il buon gusto nell’arte, ovvero resterà provato che questo felice cambiamento fosse già avvenuto, o a dir meglio incominciato fra noi, allorchè egli vi giunse.

Il Pagave assegna con tutta franchezza all’anno 1476 l’arrivo di Bramante in Milano, aggiungendo che la prima opera di cui venne incaricato fu la costruzione della doppia Chiesa di Santa Radegonda. Ma nessuna prova di ciò; e il dottore C. C. il quale fece ricerca negli atti di quelle chiese ora soppresse ci assicura di aver trovato nulla che confermi una tale asserzione. Invece il Pungileone dal maggior numero degli altri scrittori seguito, assegna la venuta di Bramante all’anno 1480 ed è perciò che il sacerdote Astesani, il quale al principio di questo secolo scrisse alcunchè della chiesa nostra di S. Satiro incominciata poco dopo l’anno 1470, ritenendo egl impossibile che vi avesse avuto parte Bramante d’Urbino immaginò con non ispregievoli argomenti la preesistenza di un altro Bramante milanese il quale avesse architettato nel suo principio quel grazioso tempietto. Ed a questo tempietto avrebbe di poi l’urbinate aggiunta la magnifica sagrestia ottagona di cui favella il Cesariano nei suoi Commenti a Vitruvio (1521) e cui a’nostri tempi con tristo avviso fu otturata l’antica e simmetrica sua porta per convertire fuori di ragione la sagrestia in battistero.