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282 rassegna bibliografica

stessa plebe che pochi giorni innanzi l’aveva levato a cielo; e mentre faceva disegno di passare in Sicilia, da un Frangipani signore d’Astura, nel quale erasi confidato, fu tradito con i suoi compagni all’ammiraglio di re Carlo. In que’ medesimi giorni (settembre 1208) il vincitore entrò trionfante in Roma; e dal solito popolo, amico sempre di chi vince, vi fu proclamato senatore: il quale ufficio egli accettò, come gli venne conferito, avita (II, 67, 70*); dimentico forse, nella soddisfazione del trionfo, delle riserve impostegli dalla chiesa. Ma bene seppe papa Niccolò III, scaduto il decennio, ricordargliele, e costringerlo «a rassegnare l’ufficio di senatore, richiamando da Roma i suoi ufficiali, e consegnando le castella ed il Campidoglio in mano del popolo romano»: di che il signor Del Giudice promette di pubblicare a suo tempo gli opportuni documenti (II, pag. 208).

La fine di tutti i più illustri prigionieri di Tagliacozzo (se ne togli Enrico di Castiglia, che per la sua parentela con re Carlo ebbe grazia della vita) fu sul patibolo: Galvano Lancia1 e il suo figliuolo furono decapitati in Roma o in Genazzano (la quale cosa per le cronache e per i documenti non è ben chiara); Corradino, con Federigo d’Austria e altri compagni2, nella piazza del mercato di Napoli, a dì 29 di ottobre 1208. Hanno i cronisti e le tradizioni popolari colorito quest’ultimo fatto, già nella sua nuda verità lacrimevole, con pietose novelle; ma la critica storica, fondandosi sui documenti e su testimonianze autentiche, le ha in gran parte rifiutate. Così si è narrato che al protonotaro del regno, che lesse pubblicamente la sentenza, resa contro Corradino da una curia generale di giureconsulti appositamente convocata, Roberto di Fiandra, genero del re, «diede d’uno stocco, «dicendo che a lui non era licito di sentenziare a morte sì grande e gentile uomo; del quale colpo il giudice, presente

  1. Di Galvano Lancia il signor Del Giudice pubblica, in nota al documento 70 del vol. II, una sentenza (ch’egli crede inedita) «da lui resa nel 1257, quando era capitan generale del Regno al tempo di Manfredi, importante per le forme giudiziarie di quei tempi. Nell’originale esistente nell’Archivio si vede la firma originali: di questo famoso ghibellino».
  2. Lo Cherrier, nella cit. op. III, pag. 275, dice che erano dodici in tutti.