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fra venezia e ravenna 243

Il Comune di Ravenna si obbligherebbe a prestare secondo il suo potere, ed in buona fede aiuto, consiglio e protezione ai suddetti uficiali veneziani destinati ad impedire il trasporto dei sali nelle acque e nelle vicinanze di Ravenna, contro tutti coloro che li volessero offendere.

E qui (prevedendo il possibile ritorno dei guelfi discacciati nel 1249, dal conte Ruggero e dall’attuale podestà o piuttosto un probabile accordo fra essi e la parte ghibellina, i Veneziani prescrivono al podestà ed al Comune di Ravenna, che se mai entro un anno la fazione dominante fosse venuta ad una concordia coi Ravennati della parte contraria discacciati dalla città, avrebbe loro imposto la inviolabile osservanza di questi patti fino la compimento del termine di un anno, altrimenti ogni pacificazione con la parte avversa sarebbe vietata dai Veneziani, ed impedito il ritorno dei fuorusciti.

Il podestà Guido Filiarardi, conte di Bagnacavallo, giurò questi patti sul vangelo, e ricevette da Gabriele Paulino rappresentante del doge e del Comune di Venezia 2000 lire di moneta veneta, e fu stipulato che le altre 2000 sarebbero pagate dopo il termine di sei mesi a Ravenna od in Venezia, secondo che al doge sarebbe piaciuto1.

È da credere che Ravenna a ciò fosse condotta dalla necessità di danaro, e che quattromila lire venete in un anno sembrassero compensare abbondantemente i diritti ceduti.

Ed in questo trattato si ritrova la prima radice di quel pieno ed intero dominio che Venezia ebbe in Ravenna cento ed ottantanove anni dopo, giacche per esso sei uficiali veneti potevano essere mandati a risiedere nella città: ed oltre la commerciale, la stessa libertà politica apparisce menomata, che i patti con Venezia doveano rimanere inviolati qualunque cosa avvenisse, ed

  1. Vedi Documento II.