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dei genovesi | 215 |
Siffatte cose io penso, leggendo corno il banchetto di Michelangelo Cambiaso1 fosse numeroso di oltre quattrocento invitati, e rallegrato da musicali concerti non che da una illuminazione sopra modo vaghissima di tutto l’appartamento ducale, che pur allora era stato addobbato con la più ricercata sontuosità2.
Ciò che per altro rese più specialmente pregevoli e degne di ricordo le feste di questa incoronazione, al pari di quella di Giuseppe Maria D’Oria, che è a dire l’immediato successore del Cambiaso3, fu al certo la mirabil copia e la ricchezza de’ trionfi, ne’ quali insieme al Boselli, coll’officina delle maioliche savonesi d’antica celebrità, ebbero mano artefici di sperimentato valore, e giovani d’ingegno ben promettente: il Tagliafichi, il Fontana, il Ravaschio, il Traverso.
Ma poiché questi trionfi, vennero pur di recente descritti da una elegantissima penna cui tanto deggiono le memorie artistiche del nostro paese, io non vorrò cimentarmi all’impresa; basterà l’accennarli in breve, notando come sedici fossero i presentati al Cambiaso, dodici gli offerti al D’Oria. Erano tra i primi la Liguria in atto d’incoronare il merito, con due bassirilievi allusivi alla grand’opera dell’ampia strada cui la gente dei Cambiaso avea spianata da Genova agli Apennini; la Grecia, che mostrando a Giano le virtù di Temistocle, d’Aristide e di Pericle, pareva augurare al governo del nuovo Principe la triplice gloria della potenza, delle leggi, dell’arti; il Tempio della Virtù; Alcide al bivio; l’Immortalità vincitrice del Tempo, la felicità pubblica; l’amor patrio; Apollo e Marsia, la Colonna Traiana, con la Fama che dal sommo di quella spiccava il volo. Tra’ secondi si distingueano, la Neutralità che in que’ dì