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194 | delle feste e dei giuochi |
teritum induisse vestibus non togatis ad instar alienigenarum nationum1.
Un decreto emanato dalla Signoria il 7 gennaio 1531 determinava pure la cerimonia dello insediamento, o, come dicevasi, della accettazione del Doge. Questa dovesse compiersi nel pomeriggio, e dentro lo spazio di otto dì a far capo da quello dell’elezione; il popolo ne fosse avvertito dalla campana pubblica; e per mezzo di bando si facesse comandamento agli artigiani di chiudere le loro officine per festeggiare il rimanente della giornata2.
La Signoria, preceduta da’ trombettieri e seguita dai magistrati, si recasse alla casa ovvero alla loggia dell’Albergo cui spettava l’eletto; e questi movesse poscia, col codazzo de’ parenti e degli amici, verso la Cattedrale, per visitarvi l’altar maggiore e la cappella di San Giovanni Battista. S’incamminasse quindi al Palazzo Dogale, e fossero a riceverlo in sulla soglia i membri del Maggior Consiglio, scortandolo tosto alla grand’aula, ove gli astanti dovrebbero salutarlo con fargli di berretto. Sedesse nel luogo digniore, ed avesse a destra il Priore de’ Governatori, il quale, tenendo fra mani lo scettro di argento, pronuncierebbe un breve sermone.
Salisse quindi alla tribuna l’oratore, al quale incombeva trattare argomenti relativi alla gloria o libertà della Repubblica; e dopo la conclone si leggesse da uno dei cancellieri la formola del giuramento che presterebbe il nuovo Doge a inani del Priore anzidetto; e solo dopo il giuramento si rizzassero tutti in piedi, e con titolo di
- ↑ Ibid.
- ↑ Ecco il tenore del bando pubblicato il 7 gennaio 1531:
«Per parte de l’illustrissima Signoria si comanda ad ogni artista et qualonque altra persona tenia in la presente cita, borgi et sotto borgi bottega et volta alcuna, che ogi se farà l’acetatione de l’illustrissimo Signor novo Duce (Battista Spinola, il primo che fu eletto nelle forme prescritte dalle leggi del 1528), che per honor di quella al hora di nona debia incontanente havore serrato dette loro boteche o volte, nè più aprirle per quel jorno como se fusse festa solene, sotto pena di libre cinque fino in venticinque» (Decretor. Franc. Flisci Botti; ms. dell’Arch. Gov., car. 62).