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192 | delle feste e dei giuochi |
tennero il seggio supremo fino agli esordi del secolo XVI. Onde potrebbe affermarsi come la serie ducale di quel primo periodo stringa in sè stessa e rappresenti la somma dello vicende in mezzo a cui si agitò allora il paese, consumando nelle ingloriose lotte di parte quelle risorse che l’aveano reso già così grande e potente. Ed invero noi ci abbattiamo a leggere di tali, per cui l’appellativo di Dogi a vita riuscir doveva di amarissimo scherno; conciossiachè, levati un dì al potere, appena è se in quello perseverarono in fino a sera, e d’altri potremmo ripetere che furono tre volte nella polve, tre volte sugli altar.
Già nell’atto medesimo che reca la proclamazione del Boccanegra si erano bandite alcune provvidenze intese così a regolare la nomina del Doge, come a dar norme circa l’autorità e gli onori onde sarebbero stati investiti gli eletti; ma le leggi del 1413 furono quelle che prime introdussero circa tale proposito una sequela di accomodati ordinamenti. Statuivano perciò, fra le altre cose, che al Doge e alla Dogaressa fosse interdetto accettare qualsiasi donativo, se pure non si trattasse di fiere o di uccelli, di latte, di giuncate, di frutti, di vini; e fra quest’ultimi specificavasi il malvasia, limitandosene la quantità ad un’olla e non più. Niuno ardisse poi chiamare il Doge dandogli titolo di Signore (Segnor); bensì lo dimandasse messere il Doge (messer lo Duxe), sotto pena di cinque in cinquanta soldi; conceduta però venia agli stranieri per ignoranza della legge, ed al volgo per semplicità. Infine, nelle pubbliche cerimonie, dovesse il Doge preceder solo ogni altra magistratura1.
La statua a giacere del Boccanegra suddetto, che è l’unico avanzo del mausoleo innalzatogli nella chiesa di San Francesco di Castelletto2, ci mostra qual fosse il