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sui manoscritti d'arborea 153

inanzi: reputo mio dovere, lasciando quel riserbo che ogni persona che non senta troppo altamente di se deve tenere in una discussione meramente letteraria; ora che la questione venne portata sopra altro campo, farmi inanzi e contro il Liverani e contro tutti, e dire aperta ed intera la verità, difendendo altamente ed a viso alzato, e con quanto sia in me di voce e d’autorità, l’onoratezza di persone, che pienamente e da lunghi anni conosco. No, la Carte d’Arborea non sono un’impostura; e le persone che in varii scritti vennero più o meno apertamente indicati come autori di questa frode, alcuno dei quali mi onoro di avere ad amico, publicarono carte antiche e sincere, provenienti da Oristano. Quanto qui asserisco in faccia al publico, sono pronto a confermarlo dinanzi ai tribunali; e con me lo confermeranno con unanime consenso quanti conoscono i fatti e le persone in questione.

21. Ma quale è dunque cotesto sì potente, sì certo argomento, che mosse monsignor Liverani a lanciare la gravissima accusa contro persone onorate, ch’ei non conosce, e a pronunziare con tanta sicurezza su fatti a lui appieno ignoti? Sono le seguenti parole della biografia di Marcobo, che è una di quelle contenute nel codice Garneriano: «Sardi itaque . tantae patientiae laxi, jam insurrectionem minabantur». Ma anzi tutto debbo notare, che il Liverani cade nel medesimo errore, del quale già è stato fatto avvertito il Mommsen (Osservazioni, § 91): che quelle biografie non sono di "Sertonio nè del IV secolo, ma che, sui materiali da lui raccolti, furono compilate negli ultimi anni del VII secolo o nei primi dell’VIII da Deletone e da Narciso. L’argomento poi, che da quelle parole il Liverani pretese trarre contro la sincerità delle Carte di Arborea, consiste, nell’essere, secondo lui, «impossibile, ripugnante, assurdo, che uno scrittore del IV» (correggi «del VI o dell’VIII») «secolo usi la parola insurrectio nel significato di sedizione e rivolgimento, che è parto dell’89, e gitta odore di giacobini e di girondini.... Non poteva mai uno scrittore sardo del IV secolo» (correggi come sopra) «fare uso di vocaboli che sono nuovi per noi nel XIX, e nel significato speciale, che ricorda uno degli episodi più spiccati dell’istoria moderna». E forse per meglio confermare che la voce insurrectio è recentissima e gitta odore di giacobini e girondini, adduce l’autorità d’una patente di re Enrico d’Inghilterra degli 8 febraio 1400: De proclamatione super insurrectionibus et excessibus compescendis. E notisi, che qui non si tratta di qualche termine scientifico, ma di voce che dalla natura stessa di quel documento appare che era da tutti usata e compresa; nè è questione di mitragliatrici o di telegrammi transatlantici (Liverani, pag. 6), ma di cosa che fu e sarà sempre e dovunque