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rassegna bibliografica 131

di Regesta Firmana, dal 907 all’anno 1300 in 627 sommari od estratti, ai quali aggiunse ventiquattro documenti interi dal 1177 al 1385, cavato da altri copioni diligenti e da una storia inedita della famiglia Zen che da Venezia erasi trapiantata a Fermo. Così per questi benemeriti si compose e divulgò un tesoro di storie fermane, dal quale poi, col sussidio degli studi topici, storici, artistici, naturali, economici, statistici, etnografici, linguistici, alcuno informato allo spirito della storia de’ tempi nostri, potrà trarre la storia popolare di Fermo dalle origini a noi. E Fermo, sì generosa sempre per le cose pubbliche, non ristarà dall’incoraggiare tale lavoro.

È molto notevole la Cronaca di Antonio di Niccolò perchè redatta per anni e giorni senza pompa oratoria, ha fisonomia di verità limpida, e ricorda fatti altrimenti non reperibili. Per essa sappiamo che Atri nel 1291 fa presa e distrutta interamente (ad nichilum reduxerunt) dai Saraceni. Vediamo come nel 1310 il popolo di Fermo, d’accordo coi Francescani, uccise il tiranno, Mercenario di Monte Verde, ed al grido di viva il popolo e morte alle gabelle, pace e morte ai tiranni, espulse i contadini. Onde s’argomenta che i feudatarii esterni s’allearono coi villani contro la democrazia cittadina, onde esercitare il dispotismo, e questa opposizione de’ villici ai cittadini vediamo tuttavia alimentata in Francia, ed ora in Italia per opera di poteri dispotici ecclesiastici. Ma i Monte Verdi nel 1370 ripigliarono la tirannia dalla città, temperata colla nomina di nove capitani del popolo, un sindaco ed un gonfaloniere della giustizia. Ma anche quella tirannia parve insopportabile tanto che il popolo, vinti e presi Rinaldo e tutta la di lui famiglia a Monte Falcone, li giustiziò con una crudeltà da medio evo. Perchè essendo tutto il popolo vestito a nuovo, con varii colori per ognuno de’ sestieri, o per ognuna delle sei porte della città, vennero condotti su asini volti verso la coda e con corona di spine sul capo, nella piazza di San Martino, ed in mezzo ai tripudi decapitati, e sotto i loro capi infissi si pose lapide colla scritta:

Tiranno fui pessimo e crudele
Sol per mai far di me e di Luchina (la moglie)
Cari miei figli patiste disciplina.