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fra venezia e ravenna | 59 |
In essa il pontetice fedele all’imperio, malgrado l’eresia propugnata dall’imperatore, scrive:
Ad Ursum Ducem Venetiarum pro Ravenna a Longobardis defendenda.
Gregorius episcopus servus servorum Dei Urso Duci Venetiarum.
Quia peccato faciente, Ravennatum civitas, quae caput extat omnium1 a nec dicenda gente Longobardorum capta est et filius noster eximius Domimus Exarchus apud Venetias ut cognovimus moratur; debeat nobilitas tua ei adhaerere et cum eo nostra vice pariter decertare, ut ad pristinum, statum sanctae Reipublicae in imperiali servitio Dominorum filiorumque nostrorum Leonis et Constantini Magnorum imperatorum ipsa revocetur ravennatum civitas ut amore et animo sanctae fidei nostrae in statu, reipublicae et imperiali servitio firmi persistere, Domino cooperante valeamus.
Deus te incolumen custodiat, dilectissime fili2.
Questa è la lettera che il Muratori, sebbene non possa negare che abbia tutta la patina dall’antichità, crede apocrifa per l’ingiuriosa allusione ai Longobardi alleati della Chiesa e per l’affetto mostrato dal papa all’imperatore ed all’esarca che aveano voluto metterlo a morte. Il Troya pone questo fatto dopo il riacquisto di Ravenna, e quando il papa ancora ignorava le scerete intenzioni dell’imperatore; e l’ingiuria ai Longobardi sembra o aggiunta da un copista consueta e vana formola.
Era il doge Orso uomo di gran cuore, impaziente di rompere gli ozi della patria, di far provare a’ suoi cittadini l’ebrezza della gloria militare, e di essere primo a mostrare al mondo quanto oramai potessero i Veneziani. Adunato il Consiglio, ricordò come la Repubblica, dalla sua antica fedeltà all’impero avesse avuto tanta prosperità ed augumento, come nel trattato fatto con Liutprando era stato stabilito che nulla si facesse a danno dell’imperatore loro alleato, si che la presa di Ravenna toglieva ogni obbligazione, e mostrò quanto fosse pericoloso l’avere i Longobardi così dappresso, quanto importasse il mostrarsi risoluti ad impedirne l’ingrandimento e a