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annunzi bibliografici 333

di far tanto querimonie per la sua miseria intellettuale. Frattanto è parso dover nostro non ritardarne l’annunzio agli eruditi a’ quali è nota la controversia. Più espressamente ne parlerà in seguito uno dei nostri collaboratori.

G.


Diari della città di Palermo dal secolo XVI al XIX., pubblicati sui manoscritti della Biblioteca Comunali., preceduti da prefazioni e corredati di note per cura di Gioacchino Di Marzo, Volumi V e VI. Palermo, Luigi Pedone Lauriel, 1870.


Il Diario di Vincenzo Auria, del quale parlammo altra volta, continua in tutto il volume quinto e in parte del sesto. Chi desideri conoscer bene la vita del popolo siciliano, leggendo queste scritture non affatto disadorne, per esser l’autore persona di molta cultura, trova di che appagare la sua curiosità, perciocchè nella descrizione delle giostre, de’ tornei, e d’altre feste vede gli usi de’ Siciliani, ed impara come vestivano, quali cerimonie erano in vigore, ed anche il linguaggio, direi tecnico, delli spettacoli. Molti nomi delle famiglie nobili di Sicilia vengon fuori, alle quali poco più rimaneva a quei giorni che servire alla volontà de’ padroni Spagnuoli, e che alla servitù pareva si fossero oramai accomodate. Allo sfarzo dei nobili si contrappone la miseria del popolo, che all’Auria, pure aderente alla nobiltà e affezionato al dominio straniero, strappa qualche volta un grido di dolore, come quando descrive la carestia del 1671 e 72, che non può a meno di esclamare contro l’ingordigia de’ ricchi, tenenti il grano nascosto per venderlo più caro: non può nemmeno trattenere un grido contro i dominatori, che dall’isola levavano oro in gran quantità per restituire ferraccio a Palermo che p(>r loro si difendeva contro i Francesi impadronitisi di Messina. Nè la riverenza ai padroni di Madrid gli è d’ostacolo a riconoscere e confessare liberamente che la loro arte di Stato per tenere i popoli soggetti, si fonda sulla massima iniqua divide et impera. Curiosi sono i giudizii sugli uomini che tennero il governo della Sicilia. Ma l’ossequio non gl’impedisce di dare il biasimo a chi gli pare lo abbia meritato, nè di riferire i giudizi popolari che si manifestano talvolta in motti arguti o bisticci, come quando del Vicerè Duca di Sermoneta e del suo Segretario Lopez de Cortes racconta che al primo fu dato il soprannome di Duca di far moneta, al secondo di Lupo di Corte. Le idee del tempo, le dottrine politiche e anche le superstizioni si trovano espresse in questi libri. Di tutto quello che gli sembra notevole e memorabile nulla trascura. Orribile è la descrizione dello spettacolo dato pubblicamente dal Sant’Uffizio quando