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di una sconfitta nel vicentino ec. 183

cavalla, alla quale l’imperatore Tedesco dovrebbe inforcare gli arcioni, e venire almeno a vedere la pressura e le magagne de’ suoi gentili, dico, i gentiluomini d’Alberto Tedesco. Dio perdoni al Tedesco, e a’ suoi gentiluomini, e ai professori che inforcano tedescamente gli arcioni dell’Italia, speriamo, non docile a inasinire1.

Ella rammenti, di grazia, la mia stima al sig. prof. Zanella; e, se crede che li gradiscano, dia i miei saluti al sig. Stecchini e alla famiglia Cabianca.

Luglio del 1870.

N. Tommaseo.          



  1. A queste due lettere il dotto sig. Lampertico rispondeva: «Godo moltissimo che in sostanza e, salvo quel riscontro coi saltus bantini, raffermi il significato di vanzo siccome terreno che avanza dalle acque. Cosi mi fossero le sue lettere venute in tempo da giovarmi delle nuove illustrazioni di cui Ella arricchisce non pur gli umili vanzi, ma ben anco il palude e, parola per parola, tutto il verso dell’Allighieri! Quanto al luogo della battaglia, già parmi che, se vuoisi davvero stabilire l’allusione ad un fatto solo, si debba intendere quello del 1312, siccome appunto avvenuto alle seccaje di Longare. Del resto, se si volesse profetizzare le battaglie di Vicenza nel 1848, non potrebresi dir, per esempio, le battaglie de’ Berici colli, senza per questo riferirsi all’ultima, ma certo intendendosi tutte, anche la prima, pur combattutasi al piano, ma in somma anch’essa nella città di Berga?» — Senza voler contraddire a chi tanto ne sa, e è in casa propria; oserei pur pregare che pongasi mente a quella locuzione così determinata al palude.