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i porti della maremma senese 57

guardia di quei castelli, e di non foro a veruno abitante di detti luoghi alcuna nuova esenzione, mentre confermava i privilegi concessi. Senza lettere di tratta non si poteva mettere nella terra di Talamone e di Port’Ercole alcuna soma di grano raccolto fuori di quelle corti, sotto la pena del frodo, così al compratore come al venditore. I grani o biade che facesse venire di fuori il Comune di Siena sarebbero stati esenti da ogni gabella, tanto all’entrare che all’uscire dai porti. La giurisdizione che vi esercitavano gli officiali della repubblica passava nei compratori; ma era permesso agli abitanti di appellare dalle loro sentenze ai signori governatori del Comune, o al giudice delle Riformagioni, o ai quattro di Biccherna, al magistrato dei Regolatori, ad arbitrio del ricorrente1.

Dopo ciò chi consideri a quanta miseria si fossero ridotte quelle terre, durante questo secolo a cagione del mal governo fattone dagli affittuari; chi rammenti i guasti che vi recarono i fanti napolitani, l’armata francese, e i corsari che vi si erano rifugiati; indovinerà facilmente in qual misero stato furono date a sfruttare ad Alessandro Bichi, ed in quale assai più tristo e peggiore tornarono poi nella piena podestà della repubblica. Talvolta le necessità dello Stato non conoscono leggi: ma sta troppo contro ogni legge e contro ogni avvedutezza politica posporre a’ bisogni transitorii dello Stato il buon governo e la prosperità delle popolazioni. Quello che vi guadagna oggi lo Stato, lo perde a cento doppi al dimani in riputazione ed autorità appresso i cittadini.

  1. Collegio di Balìa, Deliberazione del 14 febbraio 1499 (st. sen.), n. 40, c. 185 t.