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52 i porti della maremma senese

dispendio, e di poter porre sulla nave l’insegna della repubblica, «acciò che alla difesa di quella e’ subditi di V. E. possino lui favorire»1. Il Consiglio approvò, quasi unanime, la dimanda di messer Francesco (1474, 30 gennaio, st. sen.); e ci duole che dimando consimili, che avremmo voluto trovare frequentemente, non occorrano mai più.

Lacrimevoli eventi sopraggiungevano per viepiù desolare i Porti della repubblica. L’anno 1476 Talamone fu invaso da una pestilenza assai fiera, che facilmente si propagò nelle terre vicine, e la scarsa popolazione ne fu in parte distrutta, in parte costretta ad esulare, abbandonando i colti ed i traffici, non altro seco portando che una grande miseria. Tosto che il morbo cessò, e quelle terre venivano poco a poco ripopolandosi, scesero a svernare nella maremma gran numero di fanti napolitani che il re, fatta la pace coi Senesi, mandò in Toscana per tenere in suggezione i Fiorentini suoi nemici. Se a Talamone e Port’Ercole recasse guasto maggiore la pestilenza o l’esercito regio, gli storici tacciono; ma le lettere dei commissari senesi alla repubblica fanno manifesto che delle due pestilenze la seconda fu peggiore della prima, e che quella parte del dominio senese ne patì danni molti e gravissimi. I commissari scrivevano raccomandandosi che la repubblica a tanta calamità riparasse: i poco accetti ospiti essere maggiori di numero agli abitanti . quindi più forti; e «considerata la natura de li soldati e’ loro costumi», non v’era modo di salvare gli abitanti dagli arbitrii e dalle violenze di quelle soldatesche. Aggiungevano che scarse erano le vittuaglie, scarsissimo il grano che bisognava limosinare giorno per giorno; tanto che se le cose dovessero camminare poco più in siffatta guisa, ne sarebbero derivati funesti effetti e, quel che è peggio, la fame. La miseria di quei luoghi

  1. Consiglio della Campana, n. 241, c. 40.