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44 i porti della maremma senese

da lungo tempo ammoniti, ai quali la esclusione dal supremo magistrato pesava come una ingiustizia non più tollerabile. Il nuovo pontefice, dapprima con istanze amorevoli, poi con linguaggio pieno d’ira e di sdegno, invitò i suoi concittadini a togliere il mal posto divieto1; e i Senesi, ricalcitranti in principio, da ultimo vi s’indussero con tanto loro rincrescimento, che non appena Pio secondo ebbe cessato di vivere, ammonirono di nuovo i nobili, facendo eccezione soltanto per la illustre casata dei Piccolomini.

Per queste cagioni le cure ed i pensieri della Signoria e dei cittadini a ben altre cose erano vòlti, che non ai lavori occorrenti nel Porto, ed ai modi di favorire l’incremento dei traffici e del commercio. Perciò di questi anni non altro ricordo troviamo di Talamone se non che una dimanda scritta agli officiali del Collegio di Balìa da un tal Antonio di Quarto da Genova, il quale, «attese le divisioni e tribolazioni sono in Genova sua patria infra li cittadini», chiedeva di poter esercitare

  1. Nell’Archivio di Stato in Siena esiste un breve di Pio II, dato il 25 di novembre del 1158, l’anno primo del suo pontificato, e diretto ai governatori del Comune, nel quale è lamentato amaramente il rifiuto fatto dal Consiglio alle istanze del pontefice per la riabilitazione dei nobili. Nonostante che il Breve fosse scritto con linguaggio assai risoluto, appena confacente a principe che rimproveri sudditi, sembra che il pontefice non ne restasse contento; ed a maggiore sfogo del suo animo irato, di propria mano aggiunse sotto il Breve queste notevoli parole di rimprovero e di minaccia: «Pius episcopus, servus servorum Dei. Relatum nobis est ex ccc senatoribus qui ad consulendum super nostra petitione covenerunt, tres et octuaginta votis nostris annuendum censuisse. Hos nos prudentes putamus et patriae suae zelatores: alios qui adversati sunt, non bene inspexisse civitatis sue utilitatem, et propria commoda pensitantes publica postposuisse. Non est parum in una civitate octuaginta tres esse sapientes: speramus tandem melior pars maiorem instruet et ad sè trahet. Quod si fiet, erit salus patrie nostre: si minus, intelliget multitudo, que pio desiderio nostro resistit, egre nos ferre nobilitatem postergari: pro qua tuenda nihil omittemus quod in nostra et apostolice sedis potestate consistat. Penitebit tandem civitatem vestram pii pontificis insta rogamina contempsisse . Hoc est propositum nostrum, a quo pro bono patrie divelli nulla alla ratione, quam morte, poterimus. Scriptum manu propria, ut credatis et certi sitis hanc esse voluntatem nostram. Vestrum nunc est eligere, propitiis nobis an adversis, uti malitis».