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i porti della maremma senese 43

mente nel contado senese e gli diedero il guasto. Si venne facilmente alla guerra ambita dai Veneziani e da essi consigliata molto tempo prima ai Senesi loro amici; ma fu guerra breve ed infruttuosa, che finì con dimostrazioni di disprezzo per re Alfonso che n’era meritevole, e per i Senesi che non altra colpa avevano se non che quella di sopportare un governo debole ed imprevidente. Difatti, ad insaputa loro, fu fermata la pace tra la repubblica di Venezia, il duca di Milano ed i collegati. Frattanto nuove cagioni di guerra apprestò ai Senesi il conte Aldobrandino Orsini, signore di Pitigliano; e la repubblica, tradita da Sigismondo Malatesta, poi da Carlo Gonzaga, succedutisi nel comando delle milizie senesi, non riusciva a frenare l’ambizione dell’Orsini. Questi, peraltro, ridottosi a mal partito, cercò la pace, che fu convenuta il 7 maggio 1455, non senza l’intromessione del papa, dei Veneziani e di Alfonso di Napoli. Se nonchè, dileguato un pericolo, un altro ne sopraggiunse, e la pace fu di bel nuovo compromessa, avendo Iacopo Piccinino invaso con le sue soldatesche il dominio senese. Era generale delle genti della repubblica Giberto da Correggio. I Senesi, venuti in sospetto della fedeltà di lui, lo richiamarono; e mentre, convinto di tradimento,- dinanzi alla Signoria si scusava, fu ucciso, e dalle finestre del palazzo gettato sulla pubblica piazza. Di questa atroce punizione rimane anch’oggi memoria nella sala di Balìa, sulla cui parete contigua alla prima finestra si leggono queste parole scritte con una punta di ferro da persona che per avventura fu testimone o parte di quella esemplare vendetta: A dì vij di septembre in sabbato ad hore xxij m.... morto in questo loco et traditore.

Accrescevano la debolezza del governo gli inquieti animi dei cittadini. La elezione al soglio pontificio di Enea Silvio Piccolomini col nome di Pio secondo, e la riabilitazione dei Piccolomini al governo della cosa pubblica, decretata dal Consiglio, alzarono le speranze dei nobili