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fra venezia e ravenna 33

Comparvero allora uomini cui la contemplazione delle cose divine portava a virtù singolarmente austera. Ravenna n’ebbe uno de’ più autorevoli di quella età, e fu S. Romualdo, al quale mentre garzoncello andava ad uccellare, il vasto ed ombroso pinete inalzò la giovine fantasia all’amore della solitudine ed al desiderio delle cose sovraumane.[S. Romualdo ravennate va a Venezia] Un dì vede suo padre uccidere un parente che odiava; Romualdo corre al monastero di Classe e con aspre penitenze vuole espiare il delitto paterno. Udendo poscia che un altro ravennate, per nome Marino, menava in quel di Venezia santa e penitentissima vita, andato colà, lo supera in astinenza e compunzione di cuore.

Si legge poi come Marino fosse «uomo semplice ed idiota ma che senza maestro avea apparata la scienza dei santi perchè Dio era sua guida. Viveva quell’uomo santo con grande asprezza ed astinenza, tre giorni della settimana mangiando un pezzo di pane con un pugno di fave e bevendo dell’acqua, negli altri beveva un poco di vino e mangiava qualche cosa cotta però una cosa sola. In ciascuno dei primi giorni leggeva tutto il Salterio e negli altri faceva orazione mentale ma assai lunga. Usciva ogni giorno dalia cella in compagnia di Romualdo e trovando degli albori, si fermava a pie di ciascuno, e ivi facendo quasi tante stazioni cantavano insieme trenta, quaranta salmi come loro pareva. Era stato Romualdo allevato dal padre con molta diligenza, ma non avea pratica del salterio ne d’altre cose quali il maestro voleva ch’egli dicesse, e se alle volte errava ciò gli era grande occasione di pazienza, nella quale Marino apposta l’esercitava. Si ponevano talora amendue a dire il Salterio, e quando Romualdo errava, ch’era ben spesso, il maestro lo percuoteva fortemente con una bacchetta sulla testa, acciò egli meritasse ed imparasse a sopportare. Romualdo pazientissimo non replicava cosa alcuna se non