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20 | delle antiche relazioni |
d’arte, e nella brama di adornare la loro metropoli co’ più famosi lavori della civiltà italiana.
Chè venuto a Ravenna, Carlo stupì alla vista della statua equestre di Teodorico, confessò di non aver visto mai nulla di più meraviglioso, e nel partirsi volle portarla al suo palazzo in Aquisgrana. Si narra che Carlo, costretto dalle ribellioni de’ Sassoni ad affrettare molto il suo viaggio, la lasciasse a Pavia, dove lunghissimamente rimasta, fu poi creduta portata da Liutprando dopo la presa di Ravenna. Ma parmi più attendibile il racconto e la descrizione dell’Agnello, il quale scrivea soltanto trentotto anni dopo che la statua era stata levata. E per aver detto che gli uccelli facendo il loro nido nel ventre uscivano per le narici e per la bocca del gigantesco cavallo, prevede la incredulità dei posteri ed aggiunge: Qui non credit sumat Franciae iter et eum adspiciat. Era monumento greco destinato prima a rappresentare l’imperatore Zenone e poi ridotto a raffigurare Teodorico. Non contento di questo, Carlo dimandò al pontefice licenza di spogliare dei musaici e dei marmi e dell’altre cose poste sul pavimento e sulle pareti il palagio di Teodorico. E con sua lettera dell’anno 784, papa Adriano gli concede libenti animo et puro corde cum nimio amore vestrae Excellentiae di esportare dal palazzo tutti quei musaici e que’ marmi che gli piaceranno, poichè per cagione del suo valore la Chiesa godeva di molti beni.
Aggiunge poi che de’ due cavalli mandatigli in dono per il suo messo, uno solo è giunto servibile (utilem), poichè l’altro mandato insieme era morto per via. E nel ringraziarlo lo prega che secondo l’affetto che li lega gli mandi altri famosissimi cavalli: tales nobis famosissimos emittite equos qui ad nostram sessionem facere debeant, in ossibus atque plenitudine carnis decoratos, qui dum in omnibus adspectibus laudabiles exsistant, vestrum prefulgidum triumphis laudare valeant nomen ec. 1,