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152 | rassegna bibliografica |
dell’azione e quelle della resistenza. Emanuele Filiberto comprese che il centro di gravità dello Stato dovea essere in Italia e fermò stabilmente la sede del governo in Torino; volle elle il Piemonte, postato fra’ due potenti e prepotenti livali, diventasse, come a dire, un gran campo trincerato, dove ogni suddito fosse soldato, maneggiasse colla mano stessa ora l’aratro ed ora la picca, oggi inaffiasse col sudore la patria gleba, domani la difendesse col sangue. Ridusse in sè ogni podestà, salve le comunali franchigie; non riconvocò gli Stati Generali che sotto la signoria forestiera erano stati posti in disparte, pei nuovi balzelli trattò direttamente coi Comuni; militare lo Stato, lui imperatore. Rientrò nel dominio, signore di nome, soggetto in realtà a Francia e Spagna che le migliori città e fortezze gli custodivano a guarentigia e per reciproca gelosia; tollerò la dura legge senza femminee querele e stolte vanterie d’impossibili riscosse; ma a spezzar la catena, a liberarne sè e il principato, forte, costante, circospetto intese fin dal primo momento del regno. E vide finalmente partire i Francesi, partir gli Spagnuoli, fu padrone e sovrano; tanto è vero che se una volta la temerità riesce, le dieci volte vince prudenza operosa. I deboli di animo e di mente sogliono essere o temerari o sbattuti: solo i forti sanno perseverare fruttuosamente. Un dì il prezzolato Paolo Giovio al duca profferiva lodi a suon di contanti; e non essendo accolta la profferta disse a taluno: «Io vestirò nella mia istoria gli altri da festa e lui da feria». Il che risaputo, Emanuel Filiberto rispondeva: «Nell’operare io temo più il segreto testimonio della coscienza che il pubblico dello storico più famoso». Più l’uomo studia i particolari del regno di questo principe e più ne raccomanderà lo studio e l’imitazione emulatrice a coloro che debbono riformare gli Stati usciti dalla mala scuola delle rivolture interne e delle straniere occupazioni, reggere popoli non affezionati al recente passato, non ben devoti ancora al presente, dell’avvenire spensieratamerte diffidenti.
Brevi tregue, non paci ebbe mai Carlo Emanuele I. Molte parti di regia grandezza possedette; seppe destare e tener vivo nei Piemontesi il sentimento e l’orgoglio del nome e della patria politica, e questa patria avvicinò alla rimanente Italia, onorandone i dotti uomini, i poeti, gli artisti; alta