Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
142 | rassegna bibliografica |
Basti ai benevoli lettori questa semplice sposizione delle dottrine del Gloria, e vedano nelle citate pagine del suo libro, com’egli le abbia avvalorate con opportune citazioni di documenti. Non credo opportuno di entrar più addenti o nell’ardua questione dell’origine delle lingue volgari, e in special modo dell’italiana, oggi tanto vivamente agitata fra i dotti; che non è davvero tal fatto da racchiudersi nei modesti limiti d’una rassegna paleografica, o da potersi trattare leggermente per incidenza. Pur mi piace, a conclusione di questo argomento, esporre in brevi termini quali furono su ciò le teorie del Milanesi. Egli pone per fondamento la derivazione del nostro volgare dal latino, ritenendolo come «l’ultimo grado d’una trasformazione lenta, graduale, necessaria»1 della lingua madre; e, con una mirabile diligenza ed acutezza d’osservazioni, espone colla scorta dei documenti le fasi di questa trasformazione, e viene a conchiudere che «dall’viii e ix secolo il latino tradizionale, il latino parlato o scritto dal volgo italiano, aveva subito parecchie trasformazioni caratteristiche, le quali ne avevano fatto già qualche cosa di rassomigliante all’italiano, qualche cosa che tendeva a diventare risolutamente l’italiano»2. Rifiuta poi la dottrina che gl’idiomi de’ barbari si mischiassero al latino per ia formazione della lingua volgare, ammettendo solo che il latto delle invasioni barbariche l’abbia accelerata3; e quanto alla possibilità che siano in essa avanzi delle antiche lingue italiche, la pone come semplice congettura, non potendosi addurre di ciò valide prove, finchè la conoscenza di quei vecchi idiomi non sia più chiara e meglio accertata4.
Giuste osservazioni fa il Gloria sui barbarismi e i solecismi che s’incontrano negli antichi documenti; i quali al padre Germon parvero indizi certi di falsità, mentre l’autore nostro dimostra, con sane ragioni, che «non infirmano punto la validità dei monumenti scritti del medio evo» (pag. 394-398). Intorno a che vuolsi considerare che tali solecismi e barba-