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vita di domenico cirillo | 121 |
dalla bocca di anziani, di vecchiarelle e anche di giovani raccolsi mille tradizioni, contentandomi raccontare ciò che intesi nella casa de’ figli del figlio di mastro Matteo Lanzilli di Fratta, che fu l’agente, e possiam dire l’amico di Domenico Cirillo, il quale su la buona fede gli aveva affidata tutta la sua amministrazione suburbana.
Raccontano che visitasse il parroco Siesti di Grumo che mandava catinelle di sangue: lo fissò, e senza scomporsi, nè spericolante, gli disse: Prendete dieci acini d’ipecacuana, e sarete salvo. Si guardarono in viso quei della famiglia, e pure obbedirono. Non passò il giorno dipoi, e l’ammalato fu sano.
La regina di Napoli, soggiungeva la vecchia madre del prete Matteo Lanzilli juniore, fu creduta idropica: il Cirillo, col suo cappello in testa e la sua mazza, senza i complimenti e quasi la tremerella di corte, la interrogò, le si sedette in contro, la vide, e subitamente disse: Rallegratevi; è un principe che darete alla luce.
Un terzo mi discorreva fin di una scommessa fatta a Parigi con altro medico su la efficacia di un antidoto; sicchè ebbe l’audacia di avvelenarsi e poi di neutralizzare e vincere il veleno.
E varie tradizioni raccattai in casa del medico Peretta che fu discepolo del Ricca, dov’erano molti scritti a penna e un altro gran ritratto del Cirillo; ma per le solite minaccie di ricerche fatte dal capo degli urbani certo Vincenzo Cimino, fu bruciata e distrutta ogni cosa. Giunse a tanto, ripetono ancor molti, la valentia del Cirillo nel fare, a prima vista, la diagnosi del morbo, che negl’Incurabili, veduto un infermo pallido e smunto, senza tastargli il polso, gli prescrisse brodo di pollo e vino: era fame di tre giorni: e guardandone un altro, cui il chirurgo voleva incidere un bubbone; no, disse, è ernia, non altro.