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vita di domenico cirillo 115

Ma questa plebe riverente, non fu punto mite e rispettosa nel devastare, distruggere e portar via sin anche i ferri delle scale di casa Cirillo; schiantando per rabbia tutte le piante che avea fatto venire di lontano, e saccheggiando in particolar modo il quartiere al secondo piano, dov’era lo studio dell’illustre maestro.

Si disse, per scemare la vergogna e il delitto dei Borboni, che se non fosse stato sollecito il morir di Cirillo, gli avrebbero fatto grazia; ma quella voce menzognera e servile non poteva avere nè durata nè credito; poichè c’era stato pur da pensare, e da pensare assai, insino ai 29 di ottobre.

Domenico Cirillo, come giustamente e tutti ripeterono, fu uno di quei nobili cittadini, pochissimi in ogni tempo, pochi in ogni luogo, che in mezzo ad una rivoluzione non cercano e non promuovono che il pubblico bene. Ei si segnalò per le immense doti dell’animo accompagnate dall’aspetto esteriore, sempre composto e azzimato. La civiltà del paese, e i tempi in cui visse, non erano fatti per lui, che sentiva tanto amore e sì puro per l’umanità e la sapienza: parve un Catone in mezzo alla feccia di Romolo.

Di statura giusta e svelto, avea i lineamenti regolari, e uno sguardo vivacissimo; nell’arte medica nessuno o pochi lo uguagliarono.

Il Cuoco lasciò scritto di lui: «La medicina formava la minor parte delle sue cognizioni; le sue cognizioni formavano la minor parte del suo merito». E il Lomonaco scrisse: «Egli non sapendo nè elevarsi nè abbassarsi dal suo livello, verificava la massima che i grandi cessano di esserlo quando non si sta ginocchioni innanzi a loro».

Nel Monitore francese del 17 frimario l’anno viii il cittadino Trouvè diceva «je fus l’ami du docteur Cyrillo, je pus apprecier son âme. C’est sa pitié filiale qui l’y retenait enchainé»1.


  1. G. M. Carusi, Salerno, 1868, Tip. Nazionale.