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vita di domenico cirillo | 109 |
di Montrone, Francesco Rossi e Giambattista Manthonè. «E finalmente pubblicò l’altra legge per l’abolizione del dazio sul pesce in data del 10 giugno».
Suo fu l’indirizzo al popolo stampato il 21 di maggio. E per tradizione si narra, che mai disperando in quei giorni di gravissime apprensioni, egli col berrettino in testa dicesse al popolo, che si raccoglieva intorno alla sua casa in Pontenuovo, guardando a sinistra verso la marina: Mo viene la Gallo-ispana.
Non era poco animo il suo nel fidare in aiuti forestieri; era contrapporre ai soccorsi che gl’Inglesi insieme co’ Moscoviti e co’ camiciotti davano al Borbone e alla Santa Fede, quelli che doveano darsi alla libertà e alla repubblica, cui i Francesi medesimi avevano meglio sospinto.
La repubblica cadde, ma non cadde l’animo di Cirillo: si rinchiuse con gli altri amici politici in Castel Nuovo, e quindi, sotto la fede de’ trattati sottoscritli dal capitano inglese, fu condotto sopra una delle navi pronte a far vela per Tolone.
Ma il dì 28 di giugno alle sette del mattino lo passarono sul vascello inglese, dove si leggevano le sentenze, e il giorno dopo per l’appunto fu incominciata la strage con la morte dell’ammiraglio Caracciolo strangolato sull’antenna della vicina fregata Minerva, da lui medesimo per tanto tempo comandata con gloria.
Tutta la notte stette insieme col presidente della commissione esecutiva Ercole d’Agnese, co’ generali Manthonè, Massa e Bassetti, co’ cittadini Borgia e Piatti. Di là fu menato in Castel Nuovo, e propriamente nella fossa del Coccodrillo: ve n’erano altri diciotto, fra’ quali Pagano, Albanese, Logoteta, Baffi e Rotondo, oltre a quei due che non saprei chiamare che co’ nomi di disgraziati, poiché pensarono salvarsi, palesando al comandante vilissimo Duecce il disegno che avevano i prigionieri, di segare i cancelli con gli strumenti portati ai condannati