Pagina:Archivio storico italiano, serie 3, volume 12 (1870).djvu/104

100 i porti della maremma senese

nel mantenersi alleati con Firenze, come a vendicarsene, fecero bando, che nissun mercatante genovese potesse condurre o mandare merci al porto di Talamone. Di questo divieto si dolsero amaramente i Senesi, e ne fecero lagnanze amorevoli. Scrissero ai loro potenti avversari, la città di Siena essersi oltremodo maravigliata di questa loro deliberazione: non aver potato mai aspettare da essi, che consideravano come fratelli, un così odioso divieto. In verun tempo non esser venuta meno agli obblighi della reciproca fratellanza: sempre aver onorato e favorito quella eccelsa repubblica, ne avvenimento alcuno prospero o infausto al loro dominio o a privati cittadini essere passato senza che tutti i Senesi non vi prendessero parte affettuosa. Perciò gli scongiuravano a togliere il mal posto divieto, siccome giustizia voleva, acciocché la città che nei Genovesi riconosceva amici e fratelli, non ripetesse da loro tanto detrimento e disdoro1. Alla dimanda, studiatamente modesta e benigna, accondiscesero i Genovesi, che non più trovasi fatta menzione di simile controversia.

Provveduto a ciò, restavano ancora a ripararsi i danni che le muraglie del porto avevano sofferti negli ultimi avvenimenti. In un Consiglio stretto, o di richiesta, era stato deliberato di commetterne la cura ad una balìa, la quale nell’adunanza del Consiglio del Popolo, tenuta il dì 22 dicembre 1411, lesse questa relazione; «In prima, considerato e’ bisogni e necessità concorrenti dell’acconcime della terra di Talamone, et maxime per li molti sospetti avuti in quella terra, provvidero et ordinare, che per li nostri magnifici e potenti Signori Priori e Capitano di Popolo si debba mandare per quelli cittadini, e’ quali anno la guardia della terra e cassero di Talamone; e che per loro lo’ sia fatto comandamento, del quale si facci scrittura, che fra ’I termine di xv (dì)

  1. Lettera del Concistoro ai Genovesi del dì 12 marzo 1411 (st. sen.).