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di reggio di calabria 73

la patria; non cospiravano; non tumultuavano. Ma il Governatore uscì in rigori, e, disperdendo la innocua comitiva, s’accanì male e seguitò peggio. Onde i più animosi, reputandosi perduti, si ristrinsero e giurarono la morte di lui. E fu morto1.

Di qui il principio delle persecuzioni e vicende politiche della città; delle quali l’autore non racconta il proseguimento e latine, perchè dice dissuaderlo prudenza «di mettersi dentro alla storia de’ tempi che sono nostri, dalla cui narrazione, comunque ei volesse scriverla, non potrebbe seguirgli che amarezza e pentimento2».

E finisce.

XX. E così terminiamo e chiudiamo anche noi questa storia di Reggio. La quale ora che tutta, a parte a parte, la abbiamo fatta conoscere, ci sia lecito di domandare: dalla materia ch’ebbe per le mani seppe l’autore cavare opportuno profitto? Seppe cavarne il vivo e massiccio che dentro v’era, e dalla scoria nettarlo? De’ tempi che de scrisse si formò sempre giusto ed adequato concetto? I fatti scelse sempre con savio intendimento sì che servissero ad utili e pratici esempi di viver civile? Li dispose e lumeggiò per modo che vi avesse acconcia proporzione delle parti col tutto, e le particolarità tanto vi fossero mostrate quanto al generale svolgersi de’ patrii destini conferissero? Insomma, fece della storia una maestra della vita, come voleva Tullio, ed i sembianti ed i lineamenti degli uomini e delle cose colorì così che l’opera sua possa dirsi senza mende e difetti?

No, questo noi non crediamo senza una qualche riserva. Ci pare che l’insigne autore alcune parti della sua storia narrasse con accuratezza e proposito di buona utilità, ma altre descrivesse più per luoghi comuni ed effetti retorici, che per istudi approfonditi e argomenti di civiltà. Invano tu vi cerchi, per esempio, la cognizione delle istituzioni antiche di Reggio, la storia sua civile ed intellettiva, quella delle arti belle e de’ commerci. Mentre diligentissimo lo si può dire nella descrizione delle guerre, e delle gare della città, e delle altre miserie di lei; così leggermente sfiorata apparisce

  1. Era costui Giovanni Pinelli, pessimo arnese, succeduto al Dusmet, buon soldato e prudente amministratore. — Ivi, cap. 5, §. 1.
  2. Ivi, cap. 5, §. 6.