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zio or devoti or avversi, a’ Saracini or collegati or nemici, per tutti prodi fuorchè per sè stessi, combattevano guerre d’altri non di loro; non sapendo nè l’indipendenza difendere, nè dalla tirannide riscuotersi.

E fosse stata l’ultima fiata! Ma no; chè col sovrammontare de’ Normanni non meno continuarono le miserie e il decadimento. Venne in Calabria quel Roberto Guiscardo (cioè l’astuto), loro duce; facendo guerra di bande, correndo, predando, tre volte assaltando Reggio1, oggi ricco, domani affamato, presto diventato padrone di tutto il paese2. Aveva egli conferito al suo minor fratello Ruggero il titolo di conte di Sicilia, ma niun mezzo di conquistarla fuorchè la propria audacia ed un cavallo. Costui, gittatosi alla via, svaligia i passeggieri, massime quelli che per mercatanzie recavansi ad Amalfi; in battaglia uccisogli l’unico destriero, togliesi in ispalla la sella, e con questa si salva; dalla moglie, a cui in ricambio della scarsa dote nulla potè donare, facendosi cuocere il desinare, e spesso tra amendue non possedendo che un mantello solo. Tragittatosi nell’isola, ventott’anni si ostina per toglierla agli Arabi, a’ Greci, a’ naturali. Vintala, ne fa un dominio solo colla vicina Calabria; al quale succedendo poi il figlio, vengono poste le fondamenta di quella monarchia che ancora oggi infra gli antichi termini si mantiene, da un avventuriero creata, da altri avventurieri sfruttata, per diritto di supremazia da’ papi contesa, da dinastie straniere sempre dominala, da nessun principe italiano mai retta.

Collocata da costui in Palermo la sede della sua reggenza, Reggio cessò d’essere residenza de’ duchi di Calabria, ed ebbe invece un camerario, uffiziale regio preposto all’amministrazione e riscossione delle pubbliche rendite. Serbò, come sotto i Bizantini, il gaito, lo stratego, il logoteta, il sindico, che dura ancora3; serbò greca la favella, greco il rito, greca la popolazione, greci molti de’ suoi costumi; ma non più gran metropoli, nè donna d’imprese. La feudalità già impiantavasi; conti e baroni rinfarcivano il

  1. Ivi, cap. 4, §. 5, 6, 7.
  2. Dal nome che Roberto tolse di Duca di Calabria, volle si chiamasse ducato la prima moneta d’argento da lui fatta battere dopo la presa di Reggio. D’onde 1.° l’uso di contare per ducati nel Regno; 2.° il titolo di Duca di Calabria che prende l’erede del trono
  3. Ivi, cap. 5, § 3.