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di reggio di calabria | 47 |
tiva certa ruvidezza, e delle costumanze e tradizioni paesane assai vestigia.
Hanno riputazione d’essere fieri e tenaci di propositi fino alla caparbietà, ma generosi e leali ebbeli sempre a sperimentare chiunque seco loro visse e praticò. E sono altresì frugalissimi, e alacri e desti di mente, e agili di corpo, e ospitali, e serviziati, e dell’amicizia idolatri. A nessuno secondi poi per genio di libertà e amore d’indipendenza; per le quali le difficoltà, non che sgomentare l’animo loro, lo stimolano e l’incoraggiano; tetragoni alle sventure, ai pericoli, anzi alla morte, il cui disprezzo è spesso il suggello della grandezza.
I delitti e le vendette, già una volta si frequenti tra loro, più la gelosia cagionavali e la superbia baronale, che l’efferatezza o il malvagio talento. Oggi è mutato modo. Il brigantaggio, come lo immaginano certi cervelli, e come lo predica ed esagera la fama, più non consentono i tempi ei costumi; e quello rac contato dalla storia fu più una lotta di politica indipendenza, che depravamento morale o di rapina reo istinto, come alcuno scrisse.
Le atrocità sue stipendiò e comandò, è noto a tutti, ragion di stato, cortigiana, funesta. E se la mala pianta tuttavia di tanto in tanto rigoglia, il vizio non è del terreno ma dell’ambiente.
Del resto modi e costumi di civiltà non mancano a’ Calabresi; ed ogni passo che fa il secolo per sue vie è da loro avvertito non meno di quello ch’è presso i popoli fratelli. L’amore del vero, del buono e del bello vi è antico; e sarebbe grandissimo se tante ri tortole non ve lo stremenzissero in culla.
VI. Qual fosse l’origine loro antichissima, se nati dentro, se venuti di fuori e quando, la è disputa che mille volte si è fatta e nessuno chiarì, nè rifarla vorremo noi. Come neppure diremo di che natura istituzioni li reggessero, e i casi, e i modi del vivere, perocchè nulla ci tramandassero i ricordi de’ tempi.
Congetture gli eruditi vi ban fatto, ma da esse qual fondamento può tirar la storia? Arzigogoli, e nulla più. Quell’amor di patria, che pare più s’acuisca come più la sventura lo punge, e che, non trovando pascolo nel presente, suole nella nobiltà del passato porre suo vanto, asserir potè che, fra gli abitatori primigeni dell’Italia, pur codesti dell’estremità sua meridionale fossero per leggi, per armi e per arti più che preclari; anzi, che Italia tutta