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somma, come quelle che erano nemiche a spada tratta della vostra quiete. Per la qual credenza mi era mezo risoluto (cercando di imitare in questo i miei maggiori) di bandirle anch’io dal mio studio e dalle mie fantasie, e non voler più lor pratica, per non essere un dì bandito, per conto loro, non solo dal mondo vecchio, ma dal novo; non sol da quelle che s’è trovato, ma da quel che si va cercando. Ma il signor ambasciator di Ferrara, che é filosofo e poeta, e ’l signor Pigna, che é poeta e filosofo, e che legge l’etica alle scuole di Ferrara, con alcune risposte che hanno fatte interno a questo a più d’uno honorato cavaliero degno di fede, mi hanno aperti gli occhi, e fatto toccar con mano, che il non rispondermi e ’l non ringratiarmi del duca di Ferrara non era proceduto dalla nuova legge, che io credeva già che i principi moderni havessero introdutta; perché, per quel che essi affermano (che ’l posson sapere), la legge che io dissi non è stala ancora né stabilita né publicata; ma è proceduto da un altro rispetto, che è questo: che non havendo la canzone fatta da me in morte del duca di Ghisa presa la mira di punto in bianco alla persona del duca di Ferrara, e non parlando di lui, egli non era tenuto né a rispondermi né a ringratiarmi; attento che io gli haveva presentata una cosa che non apparteneva a Sua Eccellenza. La qual risposta mi chiuse la bocea, e mi trafisse in un medesimo punto; perché non solo mi escluse dalla risposta del lor patrone, ma da quella del cardinal di Lorena; non havendo la mia canzone investito per dritto filo la persona di Sua Signoria reverendissima, e non parlando di lei. Pure, in tanta disgratia, mi pare havere havuta una gran ventura, et ho da ringratiarne Dio, che la risposta di questi sollilissimi filosofi non sia stala tale che m’habbia escluso parimente dalla risposta, che io ho aspettata et aspetto dalla Eccellenza Vostra; poiché la canzon che io le mandai, viene a investir la sua persona, non per linea transversale, ma per linea retta. Essendo dunque vero che le ragioni de’ prelibati filosofi ferraresi non mi escludono dalla risposta, che io aspetto dal duca di Fiorenza, essendo egli vivo, e parlando la mia canzone a lui e di lui, mi parrebbe ragionevole, o che il detto duca mi rispondesse, o che almeno trovasse un altro paio di filosofi in Fiorenza o in Siena o in Pisa, come’ha fatto il duca di Ferrara, che con alcuna altra nuova e stravagante ragione mi facesser non meno ammutire e strabiliare, di quel che han fatto gli acutissimi filosofi Ferraresi. Questo s’intende quando la Eccellenza Vostra habbia havuta la canzone, e non le paia di rispondere; ma quando non l’habbia havuta, come comincio a creder di nuovo, e come si ha da credere, la prego che faccia che don Silvano monaco dell’ordine de Camaldoli1 glie la presti e la legga; che io non dubito di non ne haver quella cortese risposta che si conviene alla sua grandezza. Che don

  1. Don Silvano Razzi.