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8 l’eccidio di cesena

gendola da coloro che ne furono oculari testimoni. Nè è da porre in dubbio che essi non abbiano fatto ciò: perchè questa scellerata camificina è una pagina, che ogni buon cattolico vedrebbe volentieri cancellata dagli annali del governo temporale dei Papi; ed il Pierozzi fu santo, ed il Bracciolini a quel governo aderivasi per gratitudine, dopo esservi vissuto cinquant’anni, segretario di ben otto pontefici. Arroge, essere sì vero che l’affetto di parte fa spesso vedere le persone e i fatti a traverso un prisma pregiudicato e fallace, che, nel Giornale dei Letterati per l’anno 1747, il critico romano scagliossi contro il buon Muratori, perchè disse quella bell’anima del cardinale di Ginevra essere un mal arnese che zoppicava da un piede, e maggiori vizi nascondeva nel petto, e perchè si valse talora nei suoi Annali delle parole di quei cronisti contemporanei tinti di pece ghibellina. Ora io mi confido, che nessuno darà quest’accusa a Sant’Antonino e al Poggio.

Ho poi voluto che andasse avanti alla Commedia, a guisa di protasi, la predetta Lettera, traendola dal suo originale, che è tra i Copialettere della Repubblica fiorentina nell’Archivio Centrale di Stato, parendomi che valesse la pena di ripubblicarla secondo quello; giacchè la lezione datane nella Cronica Milanese, che si legge nel Volume XVI della Raccolta Muratoriana, è tanto sbagliata, che in alcuni luoghi non se ne può cavare costruito che buono e ragionevole sia. Noterò ancora che il Cronista Milanese indurrebbe a ritenere, che questa lettera fosse esclusivamente scritta al re Carlo V, mentre dal Copialettere emerge, che essa fu come uno di quei Manifesti (oggi detti Note), che uno Stato suole mandare agli altri governi amici.

Ma io credo che questa lettera desterà in taluni vaghezza di ricercare a minuto le prime faville secondate da si alto incendio di guerra: e tanto più in coloro, i quali, stando in giorno delle opere che di mano in mano vengono novellamente alla luce, avranno veduto come sieno opposti per diametro i giudizi datine testè, per una parte dal signor Capecelatro nel quarto libro della bella Storia di Santa Caterina da Siena e del Papato dei suoi tempi, e per l’altra parte dal signor Giuseppe Ferrari nel capitolo IX (Tomo III) delle sue pellegrine disquisizioni sopra i Guelfi e i Ghibellini. Perchè, a mio parere, l’apologo del lupo e dell’agnello al fonte è una chimera d’Esopo, piuttosto che una verità adombrata da un mito, e ritengo invece che chiunque diligentemente analizzasse ogni dissensione si pubblica come privata, scenderebbe sempre con i piedi nella sentenza dell’impareggiabile autore dei Promessi Sposi, che la ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell’una o dell’altro. Da ciò deriva che gli scrittori, i quali vengono parteggiando, lasciano sempre la verità nel pozzo, e quand’anche talvolta ve nè pescano qualche brandello, le loro opere urtano nell’incredulità di chi legge con animo ver-