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44 | M. Pelaez |
ascritta fra le nobili di Roma, come si può ricavare e dai documenti, nei quali i membri di essa sono quasi sempre preceduti dal titolo di «nobilis», e dall’essere stati alcuni di essi guardiani della congregazione del SS. Salvatore, guardiani che erano scelti costantemente fra i nobili1.
Le notizie che si son potute raccogliere risalgono al secolo decimoquarto e continuano per tutto il secolo decimosesto abbastanza copiose. Ma sui principi del decimosettimo si rabbuiano; la casata Dello Mastro si disperde in parentele coi Pierleoni, coi Bondi, coi Dolci, coi Gracchi e coi Pacifici; un ramo andò a stabilirsi a Sezze e un altro ad Anagni2.
- ↑ Istoria dell’antichissimo oratorio o cappella di S. Lorenzo nei patriarchio Lateranense comunemente appellato Sancta Sanctorum di Giovanni Marangoni, in Roma, mdccxlvii. Si vegga specialmente il cap. xliv, p. 282 sgg.
- ↑ Si ricava da alcune notizie che non parve opportuno pubblicare nell’Appendice e da un libretto di Memorie della famiglia De Magistris posseduto dal cav. R. Ambrosi-De Magistris il quale cortesemente me lo diede a studiare. In queste memorie, che l’anonimo autore dice di avere scritto nel 1756, si fa risalire l’origine della famiglia De Magistris a un Turone francese, i cui discendenti sarebbero venuti a stabilirsi a Roma sulla metà circa del secolo xv; ma noi abbiamo, come si vede appresso, notizia dei De Magistris a Roma fin dal secolo xiv. Nella genealogia della famiglia formata dal detto anonimo non si leggono i nomi dei genitori e dei discendenti di Paolo dello Mastro, si che è a credere ch’egli non abbia avuto cognizione esatta de’ suoi antenati fino al secolo decimosesto. Che i De Magistris di Sezze e Anagni derivano da quelli di Roma lo provano, dice l’anonimo, per quelli di Sezze alcune «lettere del signor Simone De Magistris di Sezze, padre del signor Raimondo», e per quelli di Anagni «scritture di carattere di Cesare de Magistris conservate in Roma originalmente dalli signori Pietro de Magistris et Eutimio suo figlio e da me letti nel mese di maggio di que st’anno 1756 che ero in Roma. Altri documenti si conservano dai
a me, che ne lo richiesi, rispose categoricamente che non esiste alcun archivio. Il fatto invece è che l’abate Adinolfi lo esplorò e se ne servì in tempi recentissimi.