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Vita e diario di Paolo Alaleone | 31 |
luoghi. A proposito dell’incenso che durante una messa venne bruciato, per errore, dopo l’epistola, mentre pur cerca scusarsi del tenue fallo, osserva: «L’errore non fu grande, è vero, né grave lo scandalo, ma fu nondimeno colpa dei maestri delle cerimonie, che sempre debbono vigilare e tutto osservare»1. Allo stesso tempo era gelosissimo del suo ufficio ed adiravasi fortemente con coloro che senza suo ordine cercavano dirigere le cerimonie «et officio alieno ingerunt se libenter»2.
Serviranno ancora a dipingere l’animo piccino del nostro autore i seguenti aneddoti, pei quali ci renderemo conto delle frivolezze da cui egli era talmente colpito da stimarle degne di essere ricordate. Una volta un prete spagnuolo, dopo pronunciata la predica innanzi al papa, pubblicando l’indulgenza concessa, disse per errore venticinque giorni invece di venticinque anni; l’Alaleone aggiunge in tono di disprezzo: «causa ipse scit»3. Beffasi un’altra volta d’un predicatore che, non conoscendo a memoria la formola con cui si pubblicano le indulgenze, fu costretto a leggerla «pubblicamente in un pezzo di carta che teneva in mano», come se fosse un fatto dei più straordinari4. Un altro predicatore fece ridere, «dedit causam ridendi», perchè pubblicò le indulgenze «cantando»5.
Altrove infine trova risibile che i conservatori della città di Roma, venendo a giurare fedeltà nelle mani del papa, siano goffi ed impacciati nel fare le tre genuflessioni d’uso6.