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256 Bibliografia

per la sua nuova dignità la quale lo rendeva dopo Liutprando il personaggio più cospicuo del regno, anche rispetto agli altri nepoti di quel monarca, e tanto più sarebbe strano, perchè il cronista lo nomina in quel passo per la prima volta e in seguito di lui non fa menzione che per ricordare la sua assunzione al trono quale collega al padre, laonde non si potrebbe neppure giustificare il silenzio di Paolo presupponendo che nulla sapesse circa quella colleganza. Altre due lettere di Gregorio III riferite al 7401 ricordano i due principi con le frasi «ad reges Liutprandum et Hilprandum» e «a Liutprando et Hilprando regibus Langobardorum», e queste denotano tanto la comunanza dell’impresa o del fatto riferito nel documento, come si rileva dal contesto per l’unione coordinata dei due nomi propri, quanto la comunanza, sia pure apparente o formale, del trono e del potere sovrano2, come risulta dall’unico significato che può avere la parola «reges», e non già, come vorrebbe il Pinton, piuttosto la prima che la seconda, altrimenti il papa avrebbe usato la frase «a Liutprando rege Langobardorum et Hilprando eius nepote»; anzi se ciò nondimeno Gregorio III scrivendo ai vescovi della «Tuscia Langobardorum» e a Carlo Martello preferì designare Ildeprando soltanto col titolo di re, ciò significa a mio avviso che almeno presso la curia romana e alla corte dei Franchi e presso i vescovi della Toscana quando si ricordava Ildeprando dal 735 in poi, si presentava come suo epiteto caratteristico quello denotante la sua condizione di collega del re, anziché il titolo di nipote del medesimo.

La testimonianza che per ordine di tempo segue alla Historia di Paolo è la cronaca di Giovanni Diacono. Il passo intorno all’impresa di Ravenna, come è noto, è compreso nella parte che manca nel codice più antico (Vat. Urb, 440, sec. xi) e ci è stata trasmessa

    stati dal biografo di Zacaria, abbia anche omesso la nuova spedizione di Liutprando nell’Esarcato e la occupazione di Ravenna? Di più, secondo le vedute di Paolo Diacono, che ricordò la spedizione di Ravenna (VI, $4) come un avvenimento posteriore alla presa di Sutri (VI, 49), la quale nella seconda biografia di Gregorio II (ed. Duchesne in Liber pontif. p. 407) è posta nell’indizione zi (sett. 727 - sett. 728), il terminus a quo fissato dal Gundlach sarebbe troppo lontano.

  1. [Mansi] Collectio conciliorum amplissima, XII, 286; Codex Carolinus, ed. Jaffé, ep. 2.
  2. Frequenti negli atti pubblici antichi del comune veneziano sono gli esempi di frasi consimili le quali rappresentano la colleganza del figlio al padre nel trono ducale. Cf. per le citazioni: Monticolo, La Cronaca del diacono Giovanni e la storia politica di Venezia sino al 1009, Pistoia, Bracali, 1882, p. 69, note 52 e 53. Del resto la comunanza del trono, come è attestata dai documenti e da Paolo Diacono, non porta come conseguenza che nel fatto il potere e l’autorità dei due sovrani fosse eguale; per esempio nel ducato veneziano il collega che il doge assumeva col consenso del popolo, stava di fronte a lui in condizione secondaria, sebbene in astratto i due principi fossero eguali nel potere.