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cortigiani (p. 75); pel ducato di Romagna a Lorenzo si negò risolutamente alle preghiere di questi, anche quando il nipote riuscì ad ottenere a ciò il patrocinio di Francesco I (p. 110); resistè a Lorenzo e ad Alfonsina prima, poi ad un partito in Firenze, che successivamente avevano chiesta la trasformazione del governo della città, si da ridurlo a quasi principato Mediceo; per Milano (p. 51) e per Lucca (p. 137), nei soli accenni che troviamo, Leone appare, per lo meno, come quegli che oppone dilazioni alla effettuazione di desiderii e proposte insinuate da altri ai suoi parenti. E per la gran questione di Napoli noi abbiamo testé visto quali fossero il suo vero pensiero ed il suo principale fine. Tutto ciò, molto meno che dalle corrispondenze della cancelleria papale con gli altri principi - nel qual caso si potrebbe anche giungere fino a supporre, che l’opposizione e la moderazione di Leone rappresentassero una condotta di finissima simulazione - viene invece principalmente fuori dalle corrispondenze tra i componenti la famiglia Medici e da quelle dei segretarii ed amici loro, ove l’iniziativa d’un disegno o l’opposizione ad esso, il maggiore o minore desiderio di questo o di quello trovano naturalmente e necessariamente la loro vera e sincera manifestazione. In verità soltanto nella formazione dello Stato di Parma, Piacenza, Modena e Reggio a Giuliano, e nel tener fermo il governo di Firenze nelle mani di Lorenzo, nei modi medesimi, od anche più larghi, coi quali lo aveva tenuto il Magnifico, noi vediamo in Leone chiaro il disegno ed il desiderio che i suoi parenti dominassero. La volontà e l’opera sua di acquisto si manifestano ben più larghi e vivi in lui, quando il fratello ed il nipote sono morti, quando egli si agita chiaramente per lo Stato della Chiesa: allora mira con ogni mezzo ostinatamente a Ferrara; in meno di dieci mesi dopo la morte di Lorenzo, tenta Ferrara, prende Perugia, conquista Fermo ed altri luoghi minori.