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Napoli» che Leone adoperava indifferentemente per la Francia e per la Spagna ci è, in modo non dubbio, spiegato non solo dalle trattative di Canossa e dalle lettere di Giulio de’ Medici, che parlano sempre di cessione alla Chiesa, ma anche dal fatto che il discorso sopra riportato di Leone è di risposta ad una osservazione di Landò; il quale, per sconsigliare il papa dall’alleanza spagnuola, gli aveva ricordato, che morendo il Cattolico senza figli, «el ditto regno (Napoli) perveneria alla Chiesa». Ma la punteggiatura qual è nella stampa, può indurre nel dubbio che Leone abbia invece detto: che qualora alla morte del Cattolico, Massimiliano non avesse acconsentito di dare a Lorenzo il regno di Napoli come dote della moglie spagnuola, egli avrebbe suscitato contro Carlo il figlio di Federigo. Ma, per quanto poco, specialmente per la parte che si assegna a Massimiliano, sia logico questo senso, io non voglio insistere nella questione del significato più o meno esatto delle parole di Leone. Che anzi, se invece di Lorenzo, avessi trovato il nome di Giuliano sulle labbra del papa, io non avrei neanche mosso il dubbio, per ragionevole che fosse. Però, se così piace, come ho ammesso, che molto probabilmente Leone avrebbe, quando le circostanze glielo avessero permesso, investito Giuliano del reame di Napoli, non ho alcuna difficoltà a concedere per possibile che Leone, nel novembre, pensasse al regno di Napoli, come ad un appannaggio, che doveva venire a Lorenzo dal matrimonio spagnuolo. Ma quanto più forte si vorrà supporre e mostrare questo desiderio e questa speranza di Leone, tanto più si dovrà riconoscere che la politica di lui non ne fii soggiogata. Con siffatto disegno e con si grande speranza nell’animo, non solo egli non mena innanzi il matrimonio spagnuolo, ma riattacca le trattative con la Francia. Si può fin anche concedere, che nelle prime proposte fatte da Canossa, si nascondesse, sotto la formola della cessione dei dritti della corona di Francia