dato, si ripresentava, e più grave ora per la probabilità d’un accordo tra i due re, la posizione dell’ottobre, l’inevitabilità dell’elezione di Carlo; e, con essa, le ragioni dell’acquiescenza di Leone, Quelle stesse ragioni, che gì’ imporranno più tardi l’accordo del giugno, quando la certezza di tale elezione gli riapparirà chiara e prossima. E per arrivare a tale accordo, non è Leone che va incontro a Carlo; è questi invece che lo chiede. Si potrebbe credere che ciò appunto fosse nello scopo e nelle previsioni del papa, che il nemico, fieramente combattuto, stendesse la mano a lui, chiedendo mercè: e noi dovremmo allora trovare tanto la via quanto il frutto, con i quali Leone avrebbe volto a suo pro questo primo ed aspettato successo. Ma egli conchiude soltanto l’accordo quando non ne può più fare a meno, non quaranta giorni prima, ma alla vigilia dell’elezione, quando un corriere, andando con straordinaria rapidità, può giungere il 24 giugno a Francoforte, appena a tempo, affinchè gli elettori, già adunati da una settimana, eleggessero Carlo non contro la volontà ma con l’assenso del papa. Per impedire una offesa al prestigio suo e della Santa Sede, Leone, più che un accordo aveva invero compiuta una dedizione. Nel trattato del 17 giugno cedeva infatti le armi, con le quali aveva combattuto, liberava Carlo dagli impedimenti; e l’effetto dell’accordo a vantaggio di questo si compieva nel fatto immediatamente. Il papa da parte sua non guadagnava che semplici promesse e di poco conto, alle quali non s’impegnava neanche il re, ma l’ambasciatore, in virtù d’un mandato, che soltanto asseriva d’avere, ma che neppure presentava (documento IV). Se la politica di Leone fosse mai stata, come, per un momento, lasciando da parte i dati positivi di fatto,, ci siamo spinti ad immaginare, diretta a fare eleggere Carlo, costringendolo coll’opposizione ad un trattato vantaggioso, giammai successo avrebbe partorito per chi, con arte finissima, lo avesse predisposto, conseguenze meno liete; e