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166 G. Ricci

entrare a parte di tutte quelle riforme che riguardassero l’economia del comune. Così, per esempio, nel 13391 i Romani tennero ai sette di settembre un pubblico consiglio composto dei tredici caporioni, dei tredici consoli delle Arti, dei tredici grascieri e dei tredici gabellieri per chiedere ai Fiorentini di mandar loro uomini esperti allo scopo di ordinare in Roma le pubbliche gabelle2.

Ma la università dei bovattieri risguardava un campo economico, da cui l’amministrazione civica non poteva disinteressarsi. Si trattava dell’agricoltura, della grascia, di tutti i generi alimentari insomma: allo Stato poco importava se i mercanti di panno avessero o no delle stoffe preziose, ma certo dovea prendersi molta cura perchè in Roma non vi fossero carestie o difetto di cibi. V’eran quindi delle leggi severissime3 per chi avesse esportato i generi alimentari dalla città, mentre ne era favorita l’importazione «libere, absolute, sine data aliqua»4. Ne venne di conseguenza la creazione d’un’apposita magistratura, dei grascieri comunali, che furono eletti per la prima volta nel 12835, di un camerarius Urbis, custode delle rendite comunali, che già apparisce nel 1285 da una lettera di Martino IV6. I proventi di Roma non potevan del resto esser molto lauti da parte dell’agricoltura, perchè questa dovette sopportare tutte le invasioni ed i danni, che ne conseguitarono, nei secoli barbari, e poscia tutte le discordie intestine delle grandi famiglie, che ardevano castelli e devastavano messi, per cupidigia d’impero. Cosi vediamo che le principali entrate del comune non consistevano in red-

  1. Malatesta, Stat. della gab. cit. doc. 1, p. 121.
  2. Theiner, op. cit. II, doc. 88, p. 63.
  3. Stat. Urbis, lib. II, cap. 124.
  4. Ibid. capp. 126, 128.
  5. Theiner, op. cit. I, doc. 322, p. 263.
  6. Raynaldi, Annal. eccles, a. 1285, § 17.