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La «universitas bobacteriorum Urbis» 149

none era di tre soldi e quindici some di legna1. E questo deprezzamento non fini del tutto nei secoli xiii e xiv, giacché, ad esempio, gli Stefaneschi possedettero, infino al principio del secolo xv, Porto, per l’annuo canone d’un cignale2. Per quanto questi canoni non abbiano talora alcun ragguaglio col valore intrinseco del fondo, servendo essi solo a riconoscimento del diretto dominio, la facilità con cui le terre si concedevano e la parvità del canone, di cui si appagava il proprietario, stanno a dimostrare anche il deprezzamento, cui abbiamo accennato.

Con ciò si vede ben chiaro quanto poco frutto si potesse ricavare dalla campagna, e come facilmente sull’agricoltura dovesse prendere il predominio l’allevo del bestiame, che avea il comodo di giovarsi dei vastissimi pascoli a causa dei numerosi luoghi incolti dell’Agro romano. Durante il secolo x e xi noi ci troviamo dunque dinanzi a questa nuova classe, dei proprietari di bestiame che va, fino al secolo xiv, aumentando di numero, di ricchezza e conseguentemente di importanza sociale e che, con nome generale, vengono appellati bobacterii. Come ben osservò il Reumont3, se l’agricoltura giaceva in mano dei bobacterii, il nome stesso di questi indica ancora la prevalenza dell’allevamento del bestiame. Questa classe dovette quindi ben presto unirsi alle altre più importanti e forse associarsi a quella universitas mercatorum che vedemmo tanto in potenza verso la metà del secolo xii.

Mancandoci fonti dirette, abbiamo tentato, per mezzo di quelle indirette, di fissare l’epoca e l’origine della classe dei bobacterii, la quale del resto, come tutte le altre di Roma, non acquistò un vero valore se non nei secoli xiii

  1. Annal Camald. II, append. p. 251 e IV, 85, 185.
  2. Coppi, Dei luoghi una volta abitati &c. in Atti dell’Accad. di archeol. VIII, 46-7.
  3. Gesch. d. St. Rom. III, par. I, p. 36 sg.