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148 | G. Ricci |
secolo xiii abbondano i pascoli e le grandi campagne incolte, mentre l’agricoltura mena vita stentata1; e così pure negli Abruzzi ed in altre parti meridionali2.
Una simile situazione doveva evidentemente far decrescere il prezzo dei possedimenti rustici e far elevare invece quello del bestiame. E questo era diventato numerosissimo, ed il suo valore accresciuto anche pel fatto che, essendo scarsa la moneta, era esso il mezzo ordinario per agevolare i passaggi dei beni da una ad altra persona. Teodicio, duca di Spoleto, ricevendo dal monastero di Farfa il gualdo Alegia, dette in cambio il gualdo Torrita insieme al diritto di pascolo per dieci torme di giumenti e duemila pecore3; un tal Sisona, per una vigna, ricevette un cavallo4; un certo Opteramo, in cambio di alcuni terreni, ebbe «boum parium unum, iumenta .i., pecora .x., porcos .v.»5. La tenuità dei prezzi dei fondi era estrema: basti dire che Maurissolo ed Ubaldo vendettero una loro terra per un soldo, e ricevettero «paccam de lardo unam pro medio solido et sex modia milii pro medio solido »6. Anche il prezzo e i canoni dei beni ceduti in enfiteusi od affitti furono tenuissimi. Cosi Galera, fondata da Adriano I, fu conceduta agli Orsini per tre libre di cera all’anno al monastero di S. Saba7; Castel Guido fu per molto tempo degli Stefaneschi od Alberteschi ed il ca-
- ↑ Sulle condiz. dell’agric. nel contado cortonese nel sec. xii, per Luigi Ticciati in Archiv. stor. ital. per le provincie di Toscana ed Umbria, ser. V, to. X.
- ↑ Reumont, Gesch. d. St. Rom. vol. III, par. 3° pp. 36-37, Die Viehzucht.
- ↑ Reg. Farf. doc. 58.
- ↑ Ibid. doc. 60.
- ↑ Ibid. doc. 241.
- ↑ Ibid. doc. 42.
- ↑ Marini, Pap. dipl. n. 45, p. 71.