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132 | G. Ricci |
della terra, mentre commerci ed industrie vi furono, sino a tempi avanzatissimi, tenuti a vile. Chi non rammenta qual conto facesse Cicerone di queste arti?1 Esse rimasero in mano a schiavi od a liberti, elemento turbolento2, ora disciolte ed or ravvivate: così furono tolte da un senato- consulto del 6953, da Cesare4, da Augusto, da Claudio5, da Nerone6, da Traiano7; mentre Settimio Severo Diocleziano e Costantino procurarono di dar loro assetto e stabile forma.
Ma a queste associazioni romane, osserva benissimo l’Endemann8, mancava quella unione, che collega in un tutto organico le forze degli individui. E questa intrinseca qualità è quella appunto che le differenzia dalle corporazioni medioevali, le quali sursero con ideali diversi e che si organizzarono in ben differente maniera. Bensì sarebbe audacia il negare che, anche attraverso i secoli barbari, questa istituzione non continuasse: abbiamo in proposito numerose indicazioni. Esse chiamaronsi dapprima scholae ad imitazione delle scholae militum9 e s’intende facilmente come in Roma le più numerose fossero quelle, che appartenevano alla famiglia pontificia. Cosi è antichissimo il collegio dei Sette notai regionarii, ancorchè non ne sia autore san Clemente pontefice (anno 67 di Cristo), come porrebbe il Liber pontificalis10. Un marmo del 452, rife-
- ↑ De offic. XLII, lib. 1.
- ↑ Sallustii Iugurth. 73; Ciceronis Orat, 4° in Catil. $ 8.
- ↑ Cic. Epist. ad Quint. fr. II, 3.
- ↑ Suetonii Vitae Caesarum, $ 42.
- ↑ Dion. Cas. 40, 6.
- ↑ Taciti Annal. XIV, 17.
- ↑ Plinii Epist. X, 42.
- ↑ Die Entwickelung der Handelsges.
- ↑ Papencordt, Gesch. d. St. Rom. p. 117.
- ↑ Vit. di Clem.: «hic fecit .vii. regiones et divisit notariis fidelibus Ecclesiae». Cf. De Rossi, De origine scrinii.