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Di -f- paleoitalico e neolatino. 3

cauti, chiamiamo intanto, se così Le piace, un fenomeno ’antilatino’ questo di f in mezzo di parola. E gioverà sùbito soggiungere, che nell'eccetera, di cui pur dianzi accompagnavo l’osco e l’umbro, è pur compreso e anzi è specialmente compreso l’etrusco; poiché nessuna giusta cautela può farci intanto dimenticare, che a qual razza pur gli Etruschi appartenessero e donde pur fossero venuti, il sistema amplissimo dei loro nomi proprj presenta un gran complesso lessicale e morfologico, il quale s’incontra col tipo osco e con l’umbro e tra le proprietà comuni ha appunto quella dell’elemento di cui parliamo. Superfluo del resto avvertire, che non è ’antilatino’ il caso di -f- che sia nel composto (con-fero, p. e., e non combero). Nei composti, è l’iniziale internata, che l’evidenza etimologica riesce a serbare in quella stessa condizione che le è propria quando si trovi all’infuori del composto. Avvenimento sempre però notevole anch’esso, in quanto la ragione ideale (la spinta, p. e., a mantener fero in confero tal quale egli è in condizione isolata) viene a fermare la evoluzione fonetica. Anzi riuscirà a fermarla pure nel caso di composizione apparente od illusoria; poiché altrimenti mal si spiegherebbe infero- (inferus ecc.), che non é voce composta e dovrebbe latinamente dar imbero-. La ragione o la illusione del composto vale anche per forfex (cfr. forceps, senza dire di artifex ecc.), dove tuttavolta l’it. forbice, allato a forfice (fórfeze ecc. dei dialetti), accenna alla evoluzione caratteristica delle voci scempie del latino. Un bel confronto per il composto che perda la coscienza di sé, o, che é lo stesso, di -f- che nel composto passi in b, l’abbiamo nel nome locale Confluentia Cofluentia, ridotto a quella pronunzia volgare che si continua in Coblenz (Coblenza). Tra gli esempj in cui entrano le apparenze del composto, è forse da mettere anche vafer, che ha accanto a sé,

’Romania’ mi manda a un luogo (IV 509; 1875), in cui, toccandosi del Bulletin de la Société de Linguistique de Paris, num. 13 (non in commercio e non da me posseduto, perché anteriore alla mia ammissione), si riferisce: ’p. xlvij, L. Havet, Mots romans tirés des dialectes italiques (sifilare, bufalo, tafano et autres mots analogues, cornacchia rattaché à un diminutif de l’ombrien curnaco).’ Di questa comunicazione, che pare limitarsi a una sola pagina, non vedo traccia nei Mémoires.