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XXXIV PROEMIO.

o meno infedeli, ci ha giovato; poiché le contraddizioni in cui essi caddero, circa i bisogni e i progressi degli studj storici in Italia, dovettero farli sembrare dei sonnambuli, i quali, all’indomani di Solferino o di Sadova, si mettono a gridare, che le artiglierie di Francesco Sforza sono assolutamente cose antiquate, ma altri due giorni dopo affermano, che l’energia italiana non si può e non si deve spiegare se non nell’ambiente ove campeggino il Qid e Babieca. Più di un argomento accessorio, ma molto usato, dei nostri oppositori, si è inoltre venuto spuntando fra le loro mani. Quando essi pure ammettevano che la scienza boreale avesse del buono, e qualche spruzzo di quella barbarie potesse tornarci opportuno (nel che parevano malamente riprodurre un moderno e sagace geografo cinese, il governatore Lin, il quale, ricorrendo assai largamente alla scienza europea, dice ai suoi connazionali, come per farsi perdonare il peccato, che bisogna pur prendere qualche cognizione di quel sapere, ’che ha egli forse resi superiori i barbari, sotto il rispetto militare’), si mostravano però sempre sgomenti del fatale ossequio, che potesse oggi invalere per tutto ciò che sapeva di tedesco. Ora, quanti italiani sieno venuti a lavorare sul campo degli studj ai quali qui si allude, hanno sempre tutti mostrato tutta quella indipendenza e tutta quella originalità, che la sana mente consentisse. Il fatale ossequio si riduce veramente a questo, che s’invidia ai Tedeschi, non già un ingegno privilegiato," non già una dottrina che in ogni parte sodisfaccia, ma quel felicissimo complesso di condizioni, mercè il quale nessuna forza rimane inoperosa e nessuna va sprecata, perchè tutti lavorano, e ognuno profitta del lavoro di tutti, e nessuno perde il tempo a rifar male ciò • che è già fatto e fatto bene. S’invidia la densità meravigliosa del sapere, per la quale è assicurato, a ogni funzione intellettuale e civile, un numeroso stuolo di abilissimi operaj; si che solo il cospicuo merito potendo aver fiducia di andar segnalato, l’interesse viene a confondersi, in una spinta medesima, con lo zelo del vero e del buono, e ogni lavoratore valendo di regola più che non richiegga l’ufficio che gli può essere assegnato, contribuisce in mirabil modo a quella esuberanza di pensiero e di coesione, onde si ha la ragion